Alfabeto privato, l'erotismo del frammento

Hassan Bogdan Pautàs* > Da domenica 28 luglio 2013 twitteratura.it pubblicherà ogni settimana un brano di Alfabeto privato, inedito di Antonio Prenna concepito su twitter.

Chi voglia avventurarsi nella lettura di Alfabeto privato deve prepararsi ad una trasmigrazione: non un racconto, non una raccolta di poesie. Bensì un corpo di frammenti che ritornano ad essere un testo. L’impressione che coglie il lettore è un ammiccamento subdolo e feroce: come se un invito a San Francisco diventasse un viaggio clandestino a San Marino. Per scrivere Alfabeto privato, infatti, Antonio Prenna non ha composto né una trama né un verso. Ha semplicemente deciso di sintonizzare la voce sul sottofondo disperato e sarcastico della coscienza.

“Ecco perché non c’ero, adesso mi ricordo / Stavo morendo di morte lenta / Anche se poi, ghermito per i capelli, iniettatomi di sangue e terra d’altre latitudini, con altre / coordinate linguistiche in testa, un miscuglio di lemmi, singulti, schiocchi, francesismi, / spagnolismi, esse finali, parole con poco stupido senso grammaticale, che diventavano / tutte insieme un suono spaventoso che non ricorda altri sottofondi, tutto questo nel delirio / di ricordi e di rimandi… / La morte lenta, soffice, senza un apparente perché / Sembrava tutto così triste, ma era un ripetere antiche formule giaculatorie con il mio amico / durante quel colloquio in penombra / La mattina dopo, la domenica, il cammino e il pensiero che si forma camminando / Nessuna cosa è dove la parola manca.”

Il compito dello scrittore diviene riempire spazi interstiziali, occludere i vuoti in cui la parola manca per impedire la voce assordante del nulla, come se alla fine del Novecento non restasse che il dovere di coprire l’agonia della parola televisiva con un canto disamorato e vomitante. Alfabeto privato è perciò una sovrapposizione di immagini evocate attraverso i media, fino al punto di raccogliere frammenti di conversazione su twitter per trasformarli nella parodia di un verso.

“Sì, il il frammento ha un suo fascino inesauribile, suggerisce, suggestiona, / non definisce nè finisce, ti lancia in uno spazio inesplorato, come una meteora nel cielo, / e poi l’amore mai velato, il piacere, la sensualità mai tacciata di volgarità, ed infine la  / miniera leopardiana dello zibaldone, tutta la filosofia racchiusa in un attimo, in una / intuizione, quando fui a Napoli, nell’anno di Maradona, la prima tappa fu proprio / il recanatese, accanto al poeta della latinità, ed infine, oggi, i videoframmenti del / programma più geniale della televisione, accostamenti da vertigine con montaggio da / vertigine, lo sberleffo, il sarcasmo, il grottesco.”

Luchino Visconti - Ossessione - Ancona
Ossessione, Luchino Visconti (1943)
La chiave interpretativa è il viaggio. Un attraversamento dell’Italia, dall’Adriatico al Tirreno. Il luogo di partenza si è perduto nell’opera stessa: il lungomare di Ancona filmato da Luchino Visconti nel 1943, poco prima che venisse distrutto dalla guerra. Il luogo d’arrivo è invece l’Idroscalo di Ostia, con l’immagine di Evgenij Evtusenko che punta con la mano il teatro della morte di Pier Paolo Pasolini. Nel mezzo ci sono la mensa universitaria di Macerata e il confine di Orte: l’Appennino attraversato in treno di notte, per giungere a Roma. Il poeta vaga sulle montagne in lambretta, in una donchisciottesca resa ad una modernizzazione tradita: l’Italia è scomparsa, non resta che la memoria delle chiocciole a cui si dava la caccia col moccio al naso. E’ in questo senso, allora, che vanno colte le citazioni contrapposte di Thomas Stearns Eliot e Tonino Guerra: la deliberata volontà di mescolare il sacro col profano per formulare una bestemmia degna di Capaneo. Il lirismo è frutto dell’occasione, mentre l’unico elemento che davvero lo contraddistingue è l’assenza di retorica.

“Noi siamo qui, in questo limbo perenne, in questa terra di mezzo di nessuno, consapevoli di non meravigliare più, – se qualcuno ci vuole meravigliare full time alla fine non ci meraviglia più, – lo sappiamo perfettamente ma nonostante questo imperterriti continuiamo il rito della scrittura superficiale, quella che non arriva in profondità, ci muoviamo perché ci siamo, quasi un istinto, scriviamo perché ci siamo ai quattro lettori che sono con noi, con la solitudine dello schermo, con la solitudine della stanza vuota, un mare di solitudini, dal più famoso al meno famoso, alla fin fine ‘non possediamo neanche noi stessi’”.

Antonio Prenna, Alfabeto privato
Antonio Prenna, Alfabeto privato
L’unico punto fermo sembra essere la riscoperta dei luoghi fisici, la costruzione di una patria di elezione. Il paese di Filottrano, la stanza in cui chiudersi al riparo dalla volgarità immarcescibile che si respira arrivando in cravatta ad una stazione terminale. La consapevolezza che l’autore definisce “l’esperienza quasi erotica del dopopranzo”, perché “si sa che sono i libri a chiamarti per essere letti”. Ecco, abbandonato in una catasta scomposta di fogli Alfabeto privato mi ha chiesto che lo leggessi.

Da domenica 28 luglio 2013, pubblicheremo questo inedito di Antonio Prenna su twitteratura.it.