Paolo Costa >
Sono stato giustamente ripreso da Stefano Bartezzaghi per avere lasciato intendere che il suo recente Il falò delle novità (Utet, 2013) inneggi al genio di massa.
@paolocosta @lunaorlandog Grazie di cuore, ma “genio di massa” era un’ironia di Ferraris. Io ho usato i tweet (spero) come corpus mitologico
— Stefano Bartezzaghi (@SBartezzaghi) May 20, 2013
Non ne avevo l’intenzione. D’altronde il suo libro suggerisce secondo me l’idea di un passaggio, che è oggetto di tanta pubblicistica recente: quello dal genio solitario, appunto, al cosiddetto genio di massa. Bartezzaghi dice che si tratta di un mito da falsificare e io sono d’accordo con lui. L’ideologia del Web 2.0 si serve di questo come di altri miti a scopo spudoratamente autopoietico. Le favole di Internet sono la nuova metanarrazione, da somministrare a un pubblico tanto attivo quanto inconsapevole nel rapporto con la tecnologia. Invece bisognerebbe desacralizzare il pensiero della Rete, farne un pensiero laico.
Se però è giusto esercitare il nostro dubbio scettico nei confronti del concetto di “intelligenza della folla” e simili abracadabra (il crowd, altra parola magica), faremmo bene a non escludere a priori l’esistenza di un rapporto fra creatività e dimensione sociale. Mi sembra che le analisi in tal senso non manchino. Penso sia alle ricerche di natura storiografica (si veda per esempio Frans Johansson, The Medici Effect, Harvard Business School Press, Boston Ma, 2006) sia alle indagini sociologiche sul campo (cito il lavoro di Gernot Grabher, The Village, the Group, and the heterarchic organisation of the British advertising industry, “Environment and Planning”, A 33, 2001, pp. 351-374). La sostanza è che, se il genio è individuale, i processi creativi si nutrono dei contesti sociali adatti. Al punto che ha forse senso parlare di “ecologia della creatività”.
E qui il caso di #Leucò ci sembra pertinente. Perché stiamo parlando di una comunità sorretta e giustificata da dinamiche collaborative. Diceva ieri al Salone del Libro Iuri Moscardi, che è stato Titano:
Un conto è affrontare un testo da soli, un altro riscriverlo per proporre la nostra lettura alla comunità degli ermeneuti, ricavarne un feedback e quindi ritornare al testo, all’interno di un percorso iterativo o a spirale.
Credo che in media ciascuno dei partecipanti a #Leucò abbia riletto ogni dialogo 4-5 volte: ogni volta caricandosi sulle spalle il patrimonio di commenti nel frattempo pubblicati dagli altri. È un modo di operare che ricorda curiosamente le metodologie di sviluppo software cosiddette agili, centrate sulle persone e sulle interazioni.