#Leucò: twitteratura e lettori non omologati

Hassan Bogdan Pautàs * >

#Gli editori non differenziano l’offerta di libri e gli Italiani leggono poco. Allora come è possibile far vendere centinaia di copie ad un libro quasi scomparso dalle librerie come #Leucò? Giocando con la #twitteratura.

Perché un hashtag letterario come #Leucò, destinato a restare online 24 ore su 24 per tre mesi, ha finito per entrare diverse volte nei trending topic di twitter? Per chi non conosce questo strumento, diremo che è un po’ come se un atleta che si allena per correre una maratona finisca poi per disputare anche le eliminatorie dei cento metri.

twitteratura - Cesare Pavese riscritto su twitter

Io credo ciò dimostri che esiste un vuoto d’offerta: se non nel mercato librario, quanto meno nel mercato delle modalità di fruizione dei testi letterari. In Italia si pubblicano circa 60.000 libri all’anno; più della metà di questi libri sono nuove edizioni [1]. Eppure, gli analisti rilevano che l’offerta di libri è assai poco differenziata. Anzi, si tratta di un mercato in cui si osservano forti spinte all’omologazione: gli editori sono impegnati in una guerra feroce per il contenimento dei costi, perseguono economie di scala e perciò stentano a innovare.

Se queste sono le condizioni in cui versa l’offerta, la domanda di libri ha altri problemi: gli Italiani leggono poco. Solo 2 Italiani su 10 leggono almeno cinque libri all’anno, contro 4 Europei su 10 e punte più alte nei paesi del Nord (5 cittadini su 10 nei paesi baltici e nel Regno Unito) [2]. In questi anni, la crisi ci ha messo del suo: i libri non si mangiano, perciò si può fare a meno di comprarli; tanto che alcuni segnali mostrerebbero un ritorno dei cittadini in biblioteca [3].
 

Cambiare la forma, per promuovere il contenuto

Ma cosa trova un cittadino che in biblioteca va alla ricerca de La luna e i falò o dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese? E’ questa la domanda che con Pierluigi Vaccaneo e con Paolo Costa ci siamo fatti prima di cominciare a leggere Pavese su twitter. Be’, il cittadino trova questi: due oggetti il cui contenuto è sacro, ma la cui forma – il supporto – di per sé non rappresenta un invito alla lettura. Che fare allora, per riavvicinare le persone ai libri nell’era della spending review e dei tagli alla cultura?

#LunaFalò e #Leucò

Bisogna puntare sui giovani, è evidente. E in particolare sugli studenti e i loro insegnanti. In California, ad esempio, dove lo Stato è in bancarotta ma le scuole private e chi le frequenta dispongono di grandi risorse, piuttosto che comprare lavagne elettroniche ormai si preferisce dotare i docenti di tablet, in modo che ridisegnino i programmi scolastici attorno a strumenti nuovi. Lo ha documentato con attenzione, alcuni mesi fa, un reportage di Scuolalvento.

In Italia la realtà è assai diversa, lo sappiamo. Eppure, dobbiamo immaginare che anche qui sia possibile fare qualcosa. Dovremmo chiederlo, per esempio, a Elisa Lucchesi, che nel Liceo Fermi di San Marcello Pistoiese usa quotidianamente twitter per insegnare letteratura ai propri studenti. Oppure, dovremmo chiederlo a Marco Stancati, che alla Sapienza di Roma ha fatto di twitter una delle modalità principali per interagire con i propri studenti, e motivarli. Entrambi sono ‘titani’ di #Leucò.

Il punto è che già oggi in Italia – a fronte di 60 milioni di abitanti – esistono 32 mlioni di smartphone e 3,5 milioni di tablet [4]. Certo, in un Paese in cui il 10% delle famiglie detiene il 45,9% della ricchezza [5] il digital divide è inevitabilmente ampio anche sotto questo punto di vista, e non possiamo certo illuderci che questi strumenti siano nelle tasche di tutti gli studenti, men che meno nelle tasche dei giovani immigrati: cosa è più inclusivo della lettura? Eppure, degli spazi ci sono.

#Leucò nel suo piccolo lo dimostra, non fosse altro per il fatto che molti dei suoi partecipanti sono proprio docenti. Con questo esperimento, infatti, abbiamo visto rinascere un bisogno particolare: quello di leggere un libro insieme agli altri, di discuterne il senso giocando, divertendosi. E ciò ha fatto sì che un libro dimenticato dai lettori tornasse ad essere aperto, tanto da farne vendere alcune centinaia di copie.

Questa allora è la prima conclusione: il marketing del libro non è sufficiente, occorre sperimentare e innovare. Il marketing, del resto, rappresenta una strategia di adattamento alle condizioni date sul mercato. L’innovazione è un’altra cosa, perché ridefinisce le combinazioni tra prodotti e mercati, creando bisogni nuovi [6]. Bisogna arricchire le modalità di fruizione dei testi letterari, per far sì che le persone si riavvicinino ai libri e finiscano – indirettamente – per acquistarne di più.
 

Pubblicità, storytelling e letteratura

C’è poi un secondo elemento su cui è utile riflettere a partire da #Leucò. Mi riferisco ai paradigmi della comunicazione pubblicitaria sui social network. Nel 2012 le aziende italiane hanno investito circa 60 milioni di euro per farsi pubblicità attraverso il social web. Nel 2013, secondo le stime del MIP, questa nicchia del mercato dei media raddoppierà il suo valore, salendo a 120 milioni di euro di investimenti. Ma quanto sono soddisfatte le imprese del proprio investimento pubblicitario sui social network?

Non troppo, parrebbe. E del resto non c’è da biasimarle: chi di noi è disposto ad affermare con certezza che presta davvero attenzione ad un banner pubblicitario che coesiste con un messaggio ricco di contenuto all’interno di uno schermo di quattro pollici di grandezza? Ben pochi. Lo sa bene facebook, che vede in ciò uno dei principali limiti del proprio modello di business.
 

[blackbirdpie url=”https://twitter.com/azael/status/332894953539780608″]

 
Eppure, la pubblicità sui social network e su Internet è necessaria, perché ancor meno sono le persone disposte a pagare per fruire di un contenuto sul web. E a giudicare dalla complessità dei paywall che le redazioni di giornale stanno costruendo in questi anni il problema sembra ben lungi dall’essere risolto: ce lo racconta ogni giorno Pier Luca Santoro nella sua edicola su twitter.

Il fatto è che l’unica forma di comunicazione pubblicitaria efficace sui social network è lo storytelling. Non si tratta solo di un dato ormai largamente riconosciuto, ma possiamo dire che non è nulla di nuovo: chi da bambino andava a letto dopo Carosello sa di cosa stiamo parlando.
 

 
Allora la seconda riflessione è questa. Tre persone, animate dalla passione per la letteratura, sono riuscite grazie a Pavese a coinvolgerne alcune centinaia – di fatto un migliaio – per produrre in tre mesi quarantamila messaggi su un canale, Twitter, che in Italia conta quattro milioni di utenti. Lo hanno fatto affidandosi a un paradigma di storytelling formulato secondo il modello always on, mobile first.

A questo punto, se io fossi un pubblicitario – e non lo sono – qualche domanda oggi me la farei. Dove sono i mecenati che investono nella cultura? Dove sono le aziende che fanno comunicazione istituzionale per il proprio brand? E dove sono gli editori, che hanno un disperato bisogno di innovare? Li aspettiamo.

Nel frattempo, la bottega artigiana che vedete dietro a questo tavolo (twitteratura.it e trytweetbook.com) si è inventata una piccola filiera che comincia con un libro, attraversa uno smartphone e diventa un tweetbook. Cosa ne sarà di questi esercizi che ironicamente chiamiamo twitteratura, in futuro lo scopriremo. Oggi siamo qui per festeggiare #Leucò, abbracciare le persone che vi hanno preso parte e presentarvi un nuovo gioco.
 
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(*) Appunti per il convegno “#Leucò. La #twitteratura è un gioco?”, Torino, XXVI Salone del Libro, 16.05.2013

[1] Prometeia, “Analisi dei microsettori. Editoria di libri e pubblicazioni”, novembre 2012

[2] ISTAT, “Statistiche culturali“, gennaio 2013

[3] Le biblioteche pubbliche della Lombardia, ad esempio, hanno registrato dal 2001 al 2011 un incremento dei prestiti complessivi (locali e interbibliotecari) del 53,8%, passando 10.119 nel 2001 a 18.805 nel 2011 (Fonte: Anagrafe delle biblioteche lombarde, “Dati statistici e grafici“)

[4] Politecnico di Milano – Osservatorio New Media & New Internet, “New Media: tante novità, ma quali strategie?“, a cura di Andrea Rangone

[5] “La Banca d’Italia: ‘Il 10% delle famiglie detiene il 50% della ricchezza“, Lettera 43, 13 dicembre 2012

[6] Si veda, ad esempio Salvio Vicari, Paola Cillo e Deborah Raccagni, Product Innovation, Milano, Egea, 2013