Pierluigi Vaccaneo >
Twitteratura da Pavese a Pasolini. Da Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, dicembre 1947
Il fascino dei miti greci nasce dal fatto che posizioni inizialmente magiche, totemiche, matriarcali, iniziatiche vennero – per la strenua elaborazione del pensiero cosciente avvenuta nei secoli X-VIII a. C. – reinterpretate, tormentate, contaminate, innestate, secondo ragione, e così ci sono giunte ricche di tutta questa chiarezza e tensione spirituale ma tuttora variegate di antichi simbolici sensi selvaggi.
Terminiamo, ad un anno dal lancio di #LunaFalò, il nostro percorso di riscrittura dedicato a Cesare Pavese, lo scrittore nato a Santo Stefano Belbo nel 1908 e suicidatosi a Torino nell’agosto del 1950.
Uno scrittore apprezzato, conosciuto, letto, tradotto e mai perdonato. Chiunque, la critica soprattutto, si sia avvicinato al poeta, ha sempre anteposto il dato biografico a quello letterario, sviluppando il giudizio sull’opera esclusivamente sotto il cono d’ombra del suicidio.
Una visione fortemente limitativa, che ha messo in secondo piano la potenza contenutistica e formale di testi prepotentemente innovativi e sperimentali in anni di tronfia ed omologante retorica di regime.
Con #LunaFalò e #Leucò abbiamo costretto il lettore a “lavorare” sul testo: il limite dei 140 caratteri imposto da twitter ha implicato un’attenzione al dato linguistico e tematico irrinunciabile per la creazione del proprio commentario cinguettato.
Questo approccio social, mediato attraverso uno smartphone e un gioco su twitter, non ha fatto altro che spostare l’attenzione dall’oscurantismo dell’approccio biografico alla luce della parola scritta, svelando l’essenziale perfezione della prosa pavesiana e stimolandone una lettura reiterata e condivisa.
..e se mi avessero detto che avrei riletto 5 volte ogni dialogo non ci avrei creduto. @torinoanni10 @pavesecesare @paolocosta #Leucò/00
— Isolaria Pacifico (@isopaci) 05 aprile 2013
Un simile approccio, prima d’ora e nei confronti di un testo e di uno scrittore, non si era mai registrato. Si è data una nuova opportunità alla Cultura: quella di essere fruita dalle persone, di essere percepita come un gioco e quindi avvicinata, elaborata, colta, “reinterpretata, tormentata, contaminata, innestata, secondo ragione”, dunque compresa e assimilata.
Un modello di divulgazione culturale quello di #LunaFalò e #Leucò, lontano dalla cultura istituzionale “fatta di polvere e di palinsesti”[1] e più vicino al concetto di uso antitradizionale di una tradizione altrimenti antistorica.
Il grande successo di questi esperimenti letterari è stato, in un periodo di fitto dibattito sul destino del libro, di aver generato lettura, sociale e partecipata di due testi, La Luna e i falò e i Dialoghi con Leucò, di certo, soprattutto il secondo, poco noti al grande pubblico.
#LunaFalò e #Leucò sono stati viaggi social, tra letteratura e innovazione, la cui rotta è sempre stata il libro, unico punto di partenza e di arrivo del nostro gioco su twitter.
Libro che è stato fruito superando l’individualismo generato dalla lettura post-gutenberghiana e recuperando la condivisione, tipica dell’oralità, delle storie raccontate attorno ad un falò.
Un modello di lettura che ha avvicinato irrimediabilmente il lettore al testo permettendoci di avanzare ipotesi strutturali sui rapporti contenutistico-formali tra i due testi di Pavese.
Pavese scrisse La Luna e i falò dal 18 settembre al 9 novembre del ‘49 (#LunaFalò è durata dal 25 giugno al 27 agosto 2012), anche se la gestazione dell’opera inizia fin dai tempi del Dio-caprone (pubblicato nel 1933), e la considera fin da subito “una modesta Divina commedia”[2].
La Divina commedia di Dante è strutturata in tre Cantiche, ognuna delle quali divisa in 33 canti (tranne l’Inferno che contiene un canto proemiale).
Pavese, traduttore, linguista, storico della lingua, saggista, poeta e narratore, organizza la sua “mirabile visione (naturalmente di stalle, sudore, contadinotti, verderame e letame ecc)” in 32 capitoli.
I dialoghi con Leucò sono portati a compimento nella primavera del ‘47 (“un libro destinato a non piacere a nessuno” scrive lo stesso Pavese a Sibilla Aleramo) precedendo di due anni la Luna.
Analizzando a fondo i due testi, attraverso la rilettura implicata da #LunaFalò e #Leucò, troviamo temi che si sviluppano nel romanzo e si risolvono nei dialoghi dedicati a Bianca Garufi e idealmente fatti con se stesso.
Pavese è Anguilla, nella Luna e i falò, che torna al paese per trovare le proprie radici “[…] ma le facce, le voci e le mani che dovevano toccarmi e riconoscermi, non c’erano più. Da un pezzo non c’erano più. Quel che restava era come una piazza l’indomani della fiera, una vigna dopo la vendemmia, il tornar solo in trattoria quando qualcuno ti ha piantato”[3]
Cerco me stesso o lo ritrovo?Le vigne devono averti generato per dirti chi sei.Sogno quello che non sono per trovarmi.#LunaFalò/01
— Carlo De Ambrogio (@CarloDeAmbrogio) 25 giugno 2012
Pavese è Orfeo, nei Dialoghi, che spera di ritrovare Euridice nell’Ade ma rapendola si rende conto di aver rapito la morte, un passato che non c’è più e che non può ritornare: “L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. […] Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo. […] Un destino non tradisce. Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo”[4].
#Leucò /12 tutte scuse quellesugli scrupoli in realtà sono io che non voglio soffrire il mio nome é Orfeo ilmio nome é Nessuno
— ANTONIOPRENNA (@antonioprenna) 16 febbraio 2013
Il viaggio a ritroso, verso il significato profondo della propria infanzia e quindi della propria identità, attuato da Pavese/Anguilla/Ulisse attraverso una ricerca del selvaggio, della campagna, del titanico si risolve nella tragica contemplazione di un passato che non c’è più e non può ritornare in quanto sconfitto dalla razionalità, dalla città, dall’olimpico.
“A proposito che vuol dire che la prediletta Luna è stata tradita con Leucò? Vuol forse dire che lei ha capito che Leucò è il mio biglietto da visita presso i posteri? Pochi ci arrivano. Tanto meglio”[5]
Esempi, tra gli altri, che legano indissolubilmente le due opere facendone una il completamento dell’altra. Non è un azzardo pensare che i Dialoghi con Leucò possano rappresentare, all’interno del corpus poetico pavesiano, l’ideale 33esimo capitolo della sua personale Divina commedia.
Un legame individuato grazie al testo tormentato da un anno di letture, riscritture, contaminazioni e disintermediazioni ottenute giocando con la letteratura e facendolo in modo estremamente serio.
Ora è giunto il momento di #Corsari.
“[…] hai mai sentito, in qualche filosofia, il concetto: spezzare i vincoli che legano al passato con un atto di pura volontà? È quello che io tento di fare. Io voglio ammazzare un adolescente ipertensivo e malato che tenta di inquinare anche la mia vita di uomo”[6].
Ecco il primo scarto tra Pavese e Pasolini.
Da una parte un intellettuale (il piemontese) volto alla costruzione di se stesso attraverso l’opera poetica, nel tentativo di recuperare quella parte di esistenza, l’infanzia, sacrificata sull’altare della riuscita sociale. “Non posso abbandonarmi a vivere non posso, la letteratura è un’amante troppo gelosa” scrisse il giovane Pavese al professor Augusto Monti che lo esortava a concedersi all’adolescenza.
Dall’altra la ferma volontà di Pasolini di raggiungere quella maturità fondamentale per essere poeta e abbracciare il futuro: “Noi siamo poeti. L’ambizione è coscienza di noi. Il futuro è certo”[7].
Se dunque Pavese con la sua “costruzione di sé” parla all’Uomo, Pasolini, con questa sorta di manifesto, di impegno morale e culturale verso una generazione, la sua, parla agli uomini, scuotendone moralità e senso critico.
Questo il Pasolini degli esordi che impareremo a conoscere, a partire dal 10 giugno 2013 e attraverso la parola scritta, con #Corsari, il nuovo progetto di riscrittura e riappropriazione lanciato da twitteratura.it.
“Noi abbiamo una vera missione, in questa spaventosa miseria italiana, una missione non di potenza o di ricchezza, ma di educazione, di civiltà”[8]
[1] Pier Paolo Pasolini in una lettera a Franco Farolfi, 1941
[2] Cesare Pavese in una lettera ad Adolfo ed Eugenia Ruata, 1949
[3] Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi, Torino 2000
[4] Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino 1999
[5] Cesare Pavese in una lettera a Billi Fantini, luglio 1950
[6] Pier Paolo Pasolini in una lettera a Franco Farolfi, 1941
[7] Pier Paolo Pasolini , Lettere, 1940-1954, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 1986
[8] Pier Paolo Pasolini, Lettere, 1940-1954, a cura di N. Naldini, Einaudi, Torino 1986