#Lettidinotte. Due uomini di mare e un'Utopia

Luna Orlando* > Il libraio Lucio Morawetz e il cantautore Vinicio Capossela si incontrano per #Lettidinotte nella libreria Utopia di Milano. Senza temere naufragi e viaggiando con le sirene

#Lettidinotte - CaposselaIl cantautore barbuto è entrato nella libreria “naufragata” del libraio barbuto e ha detto: “Chi è Lucio? Mi hanno detto di cercare Lucio”.

Io che non capisco mai molto della celebrità e con grazia me ne infischio ho pensato: ma chi è questo un questuante, come fa a non sapere chi è Lucio dentro alla sua Utopia.

Lucio che con la celebrità è anche peggio di me e veleggia, malinconico entusiasta, per i suoi naufragii ha detto Eccomi. Vieni, vieni di qui.

Lì, mi ha chiamato al telefono l’amico disperso, ubriaco di gente e letture nell’altra libreria, a cui ho risposto tranquilla e trasognata ma iniziando a capire: qui c’è Capossela che chiede a Lucio se c’è Lucio in Utopia. Vieni, se vuoi.

Iniziando a capire il grazioso regalo – un reading imprevisto – mi sono avvicinata al cantautore barbuto e alla sua amica sottile che si preparavano a esibirsi per il pubblico, mentre con dolceamarezza consueta pensavo alle coincidenze prese e lasciate, anche ferma così, tra i libri, alla gente che ho conosciuto sfoderando a caso una sovraccoperta, agli appuntamenti dati tra i libri come se gli scaffali fossero un quartier generale, alle storie che nascono insieme a storie di carta. Mentre il reading improvvisato prende forma, sto lì, come fosse sempre mio posto, appoggiata a una pila, a farmi i pensieri miei.

#Lettidinotte - MorawetzL’Utopia di Milano è un posto anche mio, sì, come di molti, anche ora che la sede storica della libreria anarchica fondata a un passo da Brera negli anni ’70 è stata chiusa per un locale alla moda, ora che è approdata qui, tra gli studenti distratti del Politecnico e la tranquillità fin troppo placida di Città Studi. Stanotte, è vero, è viva e pienissima, trabocca di gente, libri letti di notte, lettori e editori come Marcos Y Marcos, sospiri e idee. L’Utopia è un posto mio, come di molti, moltissimi, e vorremmo fosse sempre così. Ma non è.

Come in sogno sento un barbuto che incoraggia l’altro con un sorriso da maschera greca: Se anche è un po’ un naufragio, il naufragio come l’errore serve a rivelare noi stessi. Poeta barbuto, sei magia retorica ma hai la mia attenzione.

Il poeta e l’amica greca leggono, sfogliano, scelgono, lei parla di morte e vita a bracciate, parlano di Luna, tra due giorni ce ne sarà una enorme, pienissima, e si faranno pazzie. Io sto lì, vicina e da un’altra parte, sorrido ai preparativi, ascolto. Mi faccio i pensieri miei.

Recitano libri Einaudi, il Saggiatore e altre cose, prima che Lucio sia chiamato più al centro ed emozionato prenda a leggere Kafka. Da Tefteri, leggono una cosa sul peccato ammiccante e bella. Del resto, così tante sono le sirene.

Io sto lì e quando il barbuto sorridente e urbano si volta la volta ennesima e chiede al suo pubblico, guardando me, se vuole leggere qualcosa lui, cioè noi, io dico graziosa: leggici Lucrezio. 
Beh lo legge. Ho prelevato una copia del poema sulla Natura che ho caro senza farmi notare. Mi chiede se è un libro mio, se non lo voglio leggere io, se l’ho tradotto, chissà, sorride e forse non capisce, perché l’ho caro, ma capisce la facilità dell’amore, se è un passo sull’amore, Lucrezio, col ditino implacabile gli indico il passo, sorrido, lo legge. Applausi.

Questa è Venere per noi; di qui viene il nome d’amore, di qui stillò prima nel cuore la goccia della dolcezza amorosa, e le successe gelido affanno. Se è lontano chi ami, è presente però la sua immagine, e il suo nome insiste dolce all’orecchio. Meglio fuggire quei simulacri, allontanare da sé ogni alimento d’amore, e volgere ad altro oggetto la mente; e l’umore raccolto gettarlo in ogni corpo che capita, non serbarlo rivolti per sempre all’amore di un solo, e preparare a se stessi affanno e sicuro dolore. La piaga incrudisce e si corrompe, a nutrirla, e ogni giorno cresce il delirio e il tormento si aggrava, se con nuove piaghe non cancelli le prime ferite e, passando d’una in altra Venere vagabonda, non le curi ancor fresche, o ad altro oggetto riesci a volgere i moti dell’anima.
Non si priva dei frutti di Venere chi evita amore, ma piuttosto ne coglie le gioie che son senza pena. Certo a chi è in senno viene di lì un piacere più schietto che ai patiti d’amore. Proprio nel momento del possesso tituba in incerti ondeggiamenti l’ardore degli amanti, né sanno di che cosa debbano prima pascersi con gli occhi e le mani. Ciò che bramavano premono stretto e fanno male al corpo, e spesso conficcano i denti nelle tenere labbra, e imprimono baci, perché non è puro piacere, e un oscuro impulso li spinge a far male all’oggetto, qualunque sia, da cui nascono questi germi di furia. Ma nell’amore Venere spezza un poco il tormento, e raffrena i morsi il piacere soave che gli è mescolato. Perché in questo è la loro speranza, che dal medesimo corpo da cui è nato l’ardore possa anche essere spenta la fiamma. (Lucrezio, De rerum natura, Utet, 2013)

Luna Orlando * Luna Orlando – Nata a Milano nel 1983, si è laureata a Pavia con una tesi in filosofia del linguaggio su Wittgenstein, che ancora sogna di sviluppare. Lavora in editoria dal 2008, per diversi anni ai libri di varia della Bruno Mondadori, specializzandosi in non fiction e trasformazioni del digitale. Non le dispiace tradurre. Dal settembre 2012, è editor per la Utet (gruppo De Agostini), contribuendo al lancio di una nuova linea di saggistica. [@LunaOrlandoG]