Il corpo invisibile dello stretto di Messina

Abbiamo chiesto ad Anna Mallamo (@manginobrioches) e Luciano Marabello (@lucmarabello) di raccontare perché hanno deciso di leggere Le città invisibili di Calvino sulla Scalinata Santa Barbara.

Martedì 15 ottobre tutta Italia ha festeggiato i 90 anni di Italo Calvino. Cosa vi ha spinti a leggere in pubblico Le città invisibili a Messina? Quali brani avete scelto e perché lo avete fatto sulla Scalinata Santa Barbara?

Scalinata Santa Barbara - MessinaAnna Mallamo – L’iniziativa è stata di alcune associazioni che si occupano di libri e lettura, io ho dato la mia entusiastica adesione per tre motivi: Calvino in sé, Calvino in me, la lettura in sé e in me. Calabrese ma siciliana d’adozione, vivo fra due delle regioni italiane in cui si legge meno: propagare il virus buono della lettura mi pare missione umanitaria, e politica, imprescindibile.

Calvino è un mio amore antico, e Le città invisibili – da cui ho letto Despina, città di confine tra deserti opposti, che secondo me bene descrive la Città dello Stretto dove vivo – è il libro che, se fossimo nella società di Fahrenheit 451, imparerei a memoria per divenirne incarnazione e custode. La Scalinata di Santa Barbara è un luogo invisibile: restaurata da poco, fa parte dei camminamenti antichi della città, nota solo ai residenti del quartiere ma per il resto dimenticata: era il modo e il momento di resuscitarla. D’altronde, ogni volta che si leva la voce di un poeta o di uno scrittore – e così è stato: Calvino ha parlato con le nostre voci – si crea una comunità. Noi, la scalinata, i passanti, i curiosi, siamo stati comunità leggente. Visibile e felice.

Luciano Marabello – Mi ha convinto la bella idea degli organizzatori: una lettura pubblica di Calvino su una scalinata di Messina. Un’idea, tanto semplice quanto densa ed efficace. Poi mi ha convinto lui, Italo Calvino, perché fin da piccolo me lo sono ritrovato con i suoi libri nello scaffale, prima come curatore, a me sconosciuto, delle Fiabe Italiane, poi come accompagnatore, inventore, narratore nelle fasi della mia lettura. Sono stato curioso anche per la modalità di lettura in pubblico perché credo che leggere in pubblico sia una delle infinite “ri-scritture” di un testo; fatta dentro le città ha poi un suo significato speciale: è quasi un’azione sintesi da Architetto/Costruttore/Abitante.

Chi legge pubblicamente un brano è qualcuno che dà avvio a una ‘costruzione’ nello spazio attraverso combinazioni di elementi organizzati, selezionati dai magazzini e dalle materie delle storie. Per affetto al testo e attraverso quello stesso testo, chi legge non solo costruisce, ma abita, condivide la lettura e “ospita” lo spazio con gli altri passanti; la riscrittura è anche una selezione di brani proposta dentro la percezione distratta della città, attingendo dalle scritture di Calvino che invece, per contrasto, sono mappe mentali calligrafiche, minuziose, attente e polimorfe.

terremoto-di-messinaEntrare nello spazio pubblico leggendo ad alta voce è una specie di ‘eversione’ della parola: si ricentra l’oralità nella materialità nello spazio fisico tramite l’impalpabile peso delle parole; poi infine la novità era che il modo di celebrare vita opere e morte degli scrittori avveniva cambiando punto di vista e soggetto dell’azione: l’autore parlava attraverso il lettore. Sul luogo della lettura, vanno spese due parole, la Scalinata Santa Barbara è uno dei pochissimi brandelli di tessuto storico sopravvissuti al grande sisma del 1908, un sistema di residenze popolari e di artigiani del ‘700 e dell’’800 costruito su uno dei bastioni sopravvissuti delle mura cinquecentesche. E’ un luogo visibile a pochi e invisibile a molti, è un luogo di un’altra urbanità ed è anche la memoria recuperata attraverso tante lotte creative fatte da abitanti, artisti, e comitati di cittadini. Un esempio di come la topologia configura di per sé uno spazio Politico.

Sulla scalinata non ho letto una città invisibile, ho solo tratteggiato a voce Ersilia e i fili che gli abitanti tendono tra gli spigoli delle case proprio perché, malgrado i terremoti, ho sempre pensato che le città possono ritrovare forma attraverso “le ragnatele dei rapporti intricati” che resistono più dei mattoni. Ho letto invece un frammento in cui Palomar ha lo sguardo da uccello e vede la città dal terrazzo, una visione planare ma che descrive “l’inesauribile superficie delle cose”, un omaggio alla mia città che ama i panorami e ha tanti punti di vista sollevati su alture, colline, poggi e terrazze edificate, città che si bea del planare mentre ha difficoltà a toccare il suolo.

Entrambi, in modo diverso, siete soliti raccontare dell’Italia a partire dal Sud. Vorrei che mi spiegaste le vostre esperienze e che mi diceste in che modo le città del Sud assomigliano alle città invisibili di Calvino.

Reggio CalabriaAnna Mallamo – Io sul mio blog, manginobrioches, e sui giornali per cui ho scritto, ho tentato una narrazione che partiva da un luogo preciso, un luogo ‘invisibile’ che esiste davvero: il quartiere di periferia dove vivono le mie zie calabresi. Un microcosmo da cui raccontare la realtà, la politica e la sua percezione, l’impatto dei media sulle vite: una narrazione che, per prima cosa, aiutasse me a capire.

E c’è tutto, dentro: la città continua che si estende oltre le montagne, le spiagge e i mari; la città sottile che vive di slanci iperurani o sotterranei (la socialità da terrazzo o cantinato, le metastasi abitative tipiche del sud, soprelevate o ctonie); la città che vive di memorie, di città non realizzate che le vivono dentro come desideri, a volte come tumori (Reggio Calabria, come Messina, fu quasi completamente distrutta nel 1908, e nessuna delle due si riprese mai davvero); la città che vive di segni, spesso contraddittori, di scontri di linguaggi (la modernità deturpante che è già degrado estetico, la cementificazione coatta che cancella e sostituisce, confonde le mappe dei luoghi, li distorce fino a sfigurarli, a renderli pericolosi); la città infelice che non sa desiderare, la città brutta che comincia dalle parole, nei quartieri di nu-o-va-es-pan-sio-ne-re-si-den-zia-le (i condomini di vetrocemento coi cancelli dentati, i terrazzi chiusi come trincee, i cortili piastrellati che scendono dalle dorsali dei colli, s’infilano negli spazi cavi dei rioni antichi, si sopraelevano per magia spuntando dalle mura vecchie e sostituendosi alle terrazze, agli abbaini, ai sistemi poetici di resistenza delle case basse); la città della carta bollata, delle sanatorie, dei passaparola, degli aiutini e dei condoni che diventa città di cemento, mappa dell’illegale che cambia nome e prende forma.

Eppure – e questo l’ho detto sulla scalinata prima di leggere Despina – in ogni momento, dalla città infelice si sprigiona una città felice, una rondine si sprigiona dal topo, e poi la rondine sale e sale e giunta in alto si ritrasforma in topo e corre giù dalla cima delle antenne, verso i condotti delle fogne, a preparare un’altra metamorfosi. Noi lavoriamo per la città felice, per la rondine. Ma quanto è faticoso.

Luciano Marabello – Raccontare delle cose e posizionarle nello spazio per me è inevitabile, essere nel Sud per prima cosa è una condizione di posizione cardinale, un punto di vista vicino per lanciare uno sguardo più lontano. Dire che racconto del Sud è forse troppo, diciamo che rimando immagini e frammenti di prossimità, parto da un punto conosciuto e un ambito geo-referenziato per poi scontornare, una partenza privata e intimista per poi diventare ‘politica’ in assonanza alla lettura di un testo nello spazio pubblico in cui il privato diventa incondizionatamente politico. Scrivo di corporeità delle cose, di pietre, case, elementi costruttivi, tavoli sedie, alberi o monti, parlo di corpi nei punti prossimi ma lo faccio attraverso il web che specificatamente è aspaziale diffondendo e recapitando i testi attraverso tutti i sistemi incorporei del nostro tempo d’internauti. Ho un blog, corpodellecose, uso massicciamente i  social network, incrocio le collaborazioni di scrittura via rete.

Le città del Sud e le città di Calvino vivono di somiglianze ma anche di distanze: quelle meridionali hanno come le seconde strutture complesse e stratificazioni laboriose, sono simboliche e contraddittorie, vivono, somigliano o appaiono spesso sfaccettate e mutevoli agli umori di chi le guarda, sono geneticamente adattative per sopravvivere ma scritte e segnate dall’inerzia. Sono iper corporee, ma hanno tutto il carico simbolico determinante che Calvino cerca di tracciare nei suoi archetipi di città nominate e appellate. Le città del Sud come quelle invisibili di Calvino hanno tanti segni e livelli di lettura, così, dopo aver letto una prima volta il testo, puoi ricominciare per scovare sottotraccia un nuovo senso alle cose.

C’è una ragione per cui, a così tanti anni di distanza dalla morte, Calvino continua a mobilitare l’entusiasmo dei lettori? Come è possibile che un messaggio così astratto, come quello del Calvino combinatorio e poliedrico, trovi un significato concreto e pragmatico nell’Italia di oggi? E’ giusto augurarselo?

Italo CalvinoAnna Mallamo – Perché Calvino non è un autore astratto: trovo molto più astratti di lui certi ‘cannibali’ (per fortuna ora fuori moda), certi produttori seriali di inchieste di commissari, certi rimestatori di noir metropolitani tutti uguali. Calvino mi parla profondamente. Mi pone le domande che io stessa mi pongo: cos’è la verità? E la realtà è sua sorella, o non sono nemmeno parenti? Come possiamo conoscere un luogo, anche abitandolo? Siamo noi abitati dai luoghi e dalle cose o li abitiamo? E come? Siamo linguaggio o lui è noi? E la ricerca di Calvino è talmente cristallina, etica, intelligente che mi coinvolge come il primo giorno che ho avuto la fortuna di leggerlo.

Inoltre la sua lingua è bellissima: un italiano fluido ma preciso, mai banale, mai affettato. Un italiano in cui si sente l’eco di Galileo e di Ariosto: leggero, ma pensoso, nutrito di scienza ed esatto, ma anche capace d’essere suggestivo, ampio, ricchissimo. Anche in questo senso credo che Le città invisibili sia un libro-summa: un libro in cui l’esotico diventa prosaico senza perdere il suo rintocco remoto, la sua suggestione, la sua bellezza d’altrove. Io mi auguro che Calvino sia per tutti quello che sembra a me: un classico di cui nutrirsi sempre.

Luciano Marabello – E’ vero che la scrittura di Calvino permane affettivamente nei vecchi lettori e mobilita l’entusiasmo delle nuove generazioni, sicuramente è la natura polifonica dei suoi testi che continua a stimolare l’attenzione, ma anche l’assoluta potenza immaginifica, seppure composta e razionale, che incanta e incuriosisce. La scrittura di Calvino attrae forse per il suo essere polisignificante, ma anche nel suo appartenere a una dimensione tanto personale quanto universale della lettura. Il nostro tempo per modo di fruizione del mondo e delle cose e per atteggiamento cognitivo, pratica pericolosamente tanti tipi di surfing, da quello culturale, a quello conoscitivo e relazionale, fino a quello sociale, la scrittura di Calvino secondo me riesce per varietà, densità ed esattezza a essere contemporanea dello spirito del nostro tempo ma utile a dare stabilità agli attraversamenti mentali, una specie di assetto di rotta al surfing permanente. Per l’Italia e gli italiani di oggi credo sia sempre utile una rilettura periodica delle Lezioni Americane.

Perché vi siete avvicinati ai giochi di Twitteratura? Quale è la forza, e quale il limite, di questo approccio alla lettura dei testi letterari? Ritenete che ciò possa avere un significato anche in altri ambiti artistici oppure no? E soprattuto, non sarà che leggere su Twitter ci fa perdere tempo prezioso da trascorrere altrove?

Twitteratura Cesare PaveseAnna Mallamo – La Twitteratura è la prosecuzione della letteratura con altri mezzi. E a volte con gli stessi. Ho cominciato all’epoca di #Leucò (altro libro per me di assoluta fascinazione), e m’ha emozionato l’idea di poter costruire un ‘oltretesto’ interagendo con un’intera comunità: in fondo, quando leggiamo s’accendono attraverso le nostre sinapsi collegamenti, analogie, affinità: la twitteratura esplicita questo meccanismo di propagazione e stimolo. E’ un’esperienza estetica eccitante, a mio avviso, come ogni esperienza creativa. Arricchita, in questo caso, dalla declinazione sociale che Twitter consente: un’esperienza immediatamente condivisa, riflessa nelle interazioni con gli altri, “ramificata” in tempo reale. E anche, in qualche misura, inter-artistica, consentendo la contaminazione di più linguaggi.

Ovviamente tutto quel che facciamo su Twitter, sui social o sul web, è tempo che sottraiamo ad altro: sta a noi sapere cosa stiamo sottraendo e cosa invece moltiplichiamo. D’altronde, se non ci abbeverassimo alla vita “reale”, se non coltivassimo – accanto al tempo “veloce” del web – il tempo lento delle letture, degli amori, dell’ozio, dei piaceri e persino dei doveri, non credo avremmo nulla da dire, su Twitter e altrove. Twitter, in fondo, è il proseguimento della realtà con altri mezzi. O forse gli stessi.   

Luciano Marabello – Ai giochi di Twitteratura mi sono avvicinato a piccoli passi, per gioco e per curiosità del mezzo. Tre o quattro volte su #TweetQueneau, forse trenta tweet #Corsari, poi dosi massicce sui #PaesiTuoi, infine dosi quotidiane e reiterate di tweet su #Invisibili, insomma continuando così si va verso l’overdose. Su forza e limite posso dire che il mezzo stimola modi di lettura, rilettura, divagazione e tematizzazione, entra nel testo da una fessura stretta e immette in uno ‘spazio’ ampio e pure poco definito, condiviso ma anche solitario; nello spazio ampio e incorporeo si fanno capannelli, appuntamenti, e fugaci incontri. Insomma senza dubbio è uno spazio relazionale del presente, temporaneo e tematizzato. Ci stai quanto vuoi, da dove vuoi e con chi vuoi, manca di con-esistenza ed è frammentario, sbriciola i testi, forma agglutinamenti di scrittura, ricompone immagini e rielabora figure percettive. Insomma il gioco è per dirla alla Calvino una specie di cinema mentale. Il tempo che occupa è il tempo che vuoi o quello che sicuramente hai già sottratto al tempo occupato.

Luciano MarabelloAnna MallamoAnna Mallamo (@manginobrioches) – Calabrese espiantata e ora siciliana per usucapione, una laurea e mezza (in Lettere Classiche e in Psicologia), scrive per vivere, in molti sensi: è redattrice della Gazzetta del Sud di Messina; ha collaborato con l’Unità, ai tempi di Concita De Gregorio, e con Pubblico, tenendo una rubrica dedicata alle democra-zie (le sue zie calabresi, comuniste e pagane, ispiratrici di vita e di politica). Ora si sfoga su Fb e Twitter e sul suo blog. Coltiva gelsomini, alleva gatti e illusioni, balla il tango, osserva lo Stretto perché ancora non ha compreso come funziona una perfetta macchina della bellezza mutevole eppure costante.

Luciano Marabello (@lucmarabello) – E’ nato nel 1965. Architetto, divagatore, blogger, divulgatore. Formato e specializzato nell’area dello Stretto, ha proseguito in Francia è ritornato in Sicilia. Incrocia l’attività di progettazione con la ricerca urbana pubblicando articoli e facendosi promotore della qualità urbana e territoriale. Ha insegnato Architettura e Progetto Urbano alla Mediterranea di RC, attiva progetti su forma della città e cultura dei luoghi con bambini e insegnanti e s’infila in molte avventure territoriali. Abita e tiene famiglia a Messina; vive lo Stretto, le sue città, la forma mutevole delle sue nuvole, il paesaggio cinetico delle navi. Usa l’incorporeità del blog per scrivere del corpodellecose.