La maionese di Brautigan

“La maionese di Brautigan” è il tredicesimo brano di Alfabeto privato, inedito di Antonio Prenna*: non un racconto, non una raccolta di poesie; bensì un corpo di frammenti che ritornano ad essere un testo. Un Alfabeto privato, appunto.



Antonio Prenna, La maionese di Brautigan


Era il giorno prima del mio compleanno. Agosto è sempre magico. Profuma di aria aperta, almeno dentro la mente. Guardai la mia giornata – cito Brautigan in modo spudorato –  continuare confusa come quel giorno prima di nascere, quando non potevo sapere cosa sarebbe successo di così primario qualche decennio dopo, se non altro per i miei orizzonti letterari. Pesca alla trota in America mi occhieggiava tra gli scaffali di una libreria di San Marino (ho ancora lo scontrino dove è segnata l’ora, 14.26) con la sua copertina essenziale e il codice a barre sotto il titolo e l’autore. Metalinguaggio tra gli infiniti linguaggi trasversali, la casa editrice italiana è un codice a barre, è diretta da Massimo Coppola e per presentarsi indica dieci punti, – la casa editrice, non Coppola; ma forse è stato Coppola a stilare il decalogo, sentendosi probabilmente tal quale il Dio terribile & biblico avvolto nella nube della non-conoscenza eccetera. –  Al punto 8 si legge: la nostra concezione del tempo è vettoriale, tuttavia ciò che sta per accadere è già accaduto. Riconoscere il nuovo è dissezionarlo (passando d’un sol balzo alla legge successiva): comunque si sa che sono i libri a chiamarti per essere letti.


La maionese di Brautigan

Insomma quel libro mi aspettava da diverso tempo. L’avevo già notato. Qualcuno me ne aveva parlato come di un’esperienza psichedelica, capace di aprirti la mente come un paracadute, come ama ripetere il mio amico Giordano Bruno Guerri. Forse me ne aveva parlato proprio lui una volta – sempre d’estate, parlando di Maria Goretti, la santa bambina su al Vittoriale – ma non ci giurerei. Anzi di sicuro non era lui. – Devi leggerlo, –  ripeteva quella voce dentro la mente. – Gli obblighi mi sono sempre stati antipatici. – La mente ti si apre come un paracadute, –  non era certo Giordano ma usava una sua tipica espressione. Chissà chi era. Insomma aspettavo l’occasione giusta per comprare quel libro dal titolo singolare, l’occasione giungeva in quel dopopranzo, che per me è sempre stata un’esperienza quasi erotica (intendo il dopopranzo). L’occasione era il compleanno. Farsi un regalo di un certo livello, sentirsi parte di un club, tirar su una canna da pesca con tutto l’armamentario di esche, galleggianti, mulinello, il retino. Anche se soltanto immaginari.


La maionese di Brautigan

Lo sfoglio un po’. La seconda di copertina è descritta nel primo capitolo del libro più strano che abbia mai letto in vita mia. La copertina è una foto scattata di pomeriggio tardi ecc., l’inizio lo conoscete se l’avete letto, se non l’avete letto fatelo e il gioco degli incastri potrà continuare all’infinito, come l’illusione che si crea negli specchi delle barbierie, uno di fronte all’altro. Vedrai te stesso perdersi in fondo all’infinito, ti vedrai piccolo piccolo se solo aguzzerai la vista, fino a non vederti più. La parte buffa è che l’acquisto per me non segue mai necessariamente la lettura. Ho aspettato fino all’inverno successivo. L’inverno del nostro scontento che non s’è mutato in luminosa estate grazie al sole di York, per via di tutte quelle storie di default dietro l’angolo, così sapientemente amplificate dai massmedia nell’ultimo periodo, dopo gli anni zero.


Pensiero mobile

Insomma la lettura – le divagazioni sono d’obbligo cercando di trovare un modo brautiganiano per recensire il libro-più-strano-mai-letto – è stata tutto uno scoppettìo di invenzioni: si affastellavano in ordine sparso Dillinger, l’FBI, la California selvaggia, la voglia di avventurarsi per ruscelli e laghi. Hayman Creek, Grider Creek, il lago Josephus-Walden e il desiderio di anarchia così tipicamente americano, motel lungo la strada, la baia di San Francisco, il gatto che si chiama 208, in un linguaggio piano, realistico, come se Brautigan ti raccontasse storie vere. – Ma sono vere, – ripete la voce dentro. – Seeeee, quelli erano gli inizi dei 60, c’erano ancora i beat in circolazione. – Non sarei voluto arrivare a leggere la parola “maionese” – la parola chiave che conclude la pesca delle trote – ma inevitabilmente, come succede per la vita di ciascuno, s’inizia a morire quando si nasce e quel giorno dell’acquisto ricordava prepotentemente il giorno prima della mia nascita, vorrà pur dire qualcosa. Sono due giorni che qui piove ormai e, in mezzo agli alberi, il cuore smette di battere, no?


[Le foto sono dell’autore, ndr]

Antonio Prenna * Antonio Prenna – (1956) Giornalista e blogger, di formazione antropologica, lavora alla televisione di stato della Repubblica di San Marino, dove si occupa di inchieste  e servizi, soprattutto di tipo culturale. In venti anni e più di attività professionale si è imbattuto in incontri e amicizie singolari, fra cui ama citare Dario Fo, Mario Luzi, Mary De Rachewiltz, Tonino Guerra, Carlo Bo, David Grossman, Carolyn Carlson, Giordano Bruno Guerri. Ha lavorato in Rai realizzando documentari e programmi di intrattenimento, collabora con riviste web letterarie e vive nelle Marche. Partecipa con entusiasmo al progetto #twitteratura dall’estate 2012. [@antonioprenna]