Nella rilettura de Le città invisibili Alessandro Armando ha cercato con la sua arte grafico-pittorica di rendere ‘visibili’ le descrizioni dei luoghi del romanzo. Blutrasparente ha provato a fargli tracciare orizzonti e processi di questa esperienza: senza pastelli, ma con le parole.
Blutrasparente – Avevi già letto “le città #invisibili”? Che differenza rilevi nel rileggerle insieme su un social? Cosa ti ha spinto a tentare il paradosso per eccellenza: rendere visibile l’invisibile?
Avevo letto Le città invisibili in molti modi: tutte insieme, da solo, con gli studenti, aprendo il libro a caso. A partire dall’adolescenza in poi sono state un luogo in cui sono tornato spesso. Un luogo familiare, anzi una moltitudine di luoghi – anche nel senso letterario e retorico del ‘luogo’ direi. Ho due copie delle città invisibili, una con la copertina di Oscar Niemeyer e l’altra con quella di Fausto Melotti: entrambe sembrano essere lì per stuzzicarti, per svelarti qualcosa che poi però nel libro passa per una scrittura. Ho sempre considerato Le città invisibili visibilissime. Anzi, è quasi “pornografico” disegnarle, perché si vedono già benissimo leggendo. E quindi è anche irresistibile provarci, è quasi compulsivo. Ma allo stesso tempo mi sembra un tradimento.
Ogni tanto penso che Calvino abbia intitolato questo suo libro-atlante per sigillarlo dentro la scrittura, prevenendone tutte le possibili raffigurazioni. Quindi ogni volta che disegno una città (e lo faccio da anni) mi vergogno anche un po’. Mi sento troppo letterale – o meglio troppo figurale. Però è talmente bello che poi me ne frego e vado avanti.
Blutrasparente – Quali sono le difficoltà che hai riscontrato nel tratteggiare le città #invisibili? E quali gli aspetti stimolanti che ti hanno portato all’entusiasmo con cui stai conducendo questa avventura?
La difficoltà è il tempo. Io non ho tempo per fare questi disegni, è praticamente un’azione clandestina, una violenza che compio in questi giorni sulla mia vita pratica. In realtà questa operazione non ha nessun senso e va contro tutti i principi di ragionevole organizzazione del mio lavoro, dei miei impegni e delle mie responsabilità: è antieconomica, anzi è dispendio puro. Quindi è anche un lusso, come tutti i dispendi, e un godimento, perché vìola tutte le norme. E quindi spero di aver anche spiegato anche perché lo faccio, e da dove arriva l’entusiasmo.
Blutrasparente – Citando Calvino sulla visibilità, “Due i processi immaginativi: quello che parte dalla parola e arriva all’immagine visiva e quello che dall’immagine visiva arriva alla parola”. Per te si è trattato di sperimentare i processi praticamente in simultanea, esperienza abbastanza rara. Pensi che i due processi si integrino o si annullino? E’ ‘blasfemo’ nella nostra società contemporanea basata sull’immagine cercare di rendere immagine ciò che per definizione letteraria si proponeva invisibile?
Qui ci sono due aspetti che si oppongono, se mi permetti essere un po’ pedante. Subito mi viene in mente il problema della scrittura e della pittura che attanagliava già il Socrate del Gorgia platonico: la pittura è ingannatrice, ma lo è scopertamente, mentre la scrittura è anche peggio, perché inganna in modo più nascosto. “Essa non sostituisce nemmeno un’immagine al suo modello, essa iscrive nello spazio del silenzio e nel silenzio dello spazio il tempo vivente della voce” (da La farmacia di Platone di JD, tanto per riprendere i fili). Quindi cosa succede se la scrittura, oltre a imitare la voce, si mette a dipingere – come nel caso de Le città invisibili? Da questo punto di vista, a parte far inorridire Platone, mi sembra che si possa considerare il rischio di un annullamento, come un cortocircuito che ‘brucia’ le immagini mentali prodotte dal testo e poi rappresentate dal disegno.
Poi però, personalmente, faccio valere un’altra considerazione che forse deriva dal fatto che sono un architetto. Tenderei a considerare il linguaggio e l’immagine come scritture, in fondo. Quindi anche nel momento in cui mi spingo a fare dei segni in analogia con un testo-città, non considero tanto un’opposizione tra ‘parola’ e ‘immagine’, quanto piuttosto una relazione tra forme di testualità che possono aprirsi l’una all’altra. Da questo punto di vista, quindi, mi sembra che i due processi si integrino.
Blutrasparente – Numerosi artisti hanno tentato di rendere Le città invisibili opere pittoriche, molte rintracciabili in gallerie su internet. Qual’è stata la differenza di realizzarle all’interno di un preciso progetto di #twitteratura? E di condividerle su un social? In sostanza: che ruolo ha avuto il feed back in tempo reale sulla tua opera d’arte? Quanto gli scambi di riscrittura e le interazioni con gli utenti hanno ‘dialogato’ con la tua messa in opera?
Non avrei mai potuto mettermi in una simile impresa sfrenata senza dei destinatari. La costituzione della ‘twitteratura’ è di per sé un evento molto strano, in cui tutti noi siamo programmaticamente in scena con un progetto di autorappresentazione: il bello di Twitter è che devi dare una rappresentazione, devi costruirla, progettarla. Non esiste l’autenticità in una situazione simile, perché in ogni caso avrai tagliato, rovesciato, scelto, estratto. Però poi, in questo gioco di specchi e di eco (e torna il tema dell’immagine e della parola, come in Eco e Narciso) c’è qualcuno che ha pigiato un tasto. Così gettare questi disegni in un non-luogo e non-tempo simile garantisce il massimo della pulizia, dell’azione disinteressata. Perché forse se la messa in scena di sé è dichiarata, si è più onesti. E così il feedback arriva aspazialmente e atemporalmente, perché dal mio povero pc io seguo delle impronte, che si susseguono, che marcano i miei post: stelline, retweet, altri commenti, che rimandano ad altri testi, immagini. Chissà dove sono state iniziate quelle catene di reazioni, chissà quando. In questo senso ci sono tanti testi, testi di testi, tracce di tracce, che risuonano una con l’altra, si legano esponenzialmente. E questo è vertiginoso, e allo stesso tempo non annichilisce (e infatti poi capita che per esempio io e te usciamo da lì, e ci scriviamo lunghe mail).
Blutrasparente – Possiamo dire che anche la pittura è un tentativo di riscrittura che utilizza mezzi e strumenti diversi dalla letteratura? In tal caso, è indubbiamente presente la soggettività del tuo sguardo nella resa pittorica delle città. Fedeltà al testo e sguardo soggettivo: come hai gestito questa dialettica nei tuoi quadri?
Sulla prima parte forse ho già risposto prolissamente prima, quindi evito di ri-annoiarti. Sulla soggettività mi prendi in contropelo: non sarei in grado di disegnare nulla di quel che vedi senza leggere i testi. Quindi per me è una specie di trascrizione del tutto arbitraria. Faccio in modo di disegnare quello che mi riesce senza sforzo, senza impegnarmi a fare cose che avrei difficoltà a realizzare. Diventa una specie di “scrittura automatica” e anche poco espressiva. Ma allo stesso tempo penso che esprima qualcosa solo nella misura in cui è automatica, perché preconscia.
Blutrasparente – Pensi che un progetto di #twitteratura possa essere applicato anche alle arti visive? Come?
Per quel che ho capito della twitteratura, penso che funzioni bene nella forma del meta-testo, o dell’archi-testo. Ci sono regioni delle arti visive che rifuggono la testualità, e che sono legate ad altro (alla performance, all’espressione immediata, allo shock). Quindi forse può funzionare, ma in modo selettivo. Per esempio avrebbe funzionato benissimo con Fluxus, o con qualche artista come Giulio Paolini o Alighiero Boetti.
Blutrasparente – Domanda facoltativa. Quando presenti i tuoi quadri sulle città oltre che al @ilkublaikhan sono indirizzati anche a alcuni account femminili presenti su Twitter, come del resto femminili sono i nomi delle città di Calvino. Ha un valore questa tua scelta?
Non so se è una scelta, ma ha sicuramente un valore, grande. Ho passato 39 anni a impegnarmi nelle cose, studiare, lavorare. Ma devo ancora imparare tutto dalle femmine: chissà se ce la farò mai.
Alessandro Armando (@alessarmando) – E’ un architetto e ricercatore universitario al Politecnico di Torino. Ha 39 anni, è sposato e non ha figli. Insegna, studia e fa ricerca sulla teoria del progetto di architettura. Si è occupato per molti anni di progettazione urbana lavorando con l’Urban Center metropolitano di Torino. Ha scritto un libro, La soglia dell’arte, e ha fatto un po’ di progetti come professionista. Suona il flauto traverso e strimpella con gli amici da quando aveva vent’anni. Gli piace nuotare e non legge quasi mai libri di narrativa. Però ha letto La recerche e non se ne è pentito. Non si considera un artista, ha fatto un po’ l’illustratore quando era ancora studente di architettura (un’antologia per le scuole della SEI, 1999, cinque volumi, 500 illustrazioni). Ma non è mai stato un mestiere. Quando gli abbiamo chiesto a chi vorrebbe dedicare i suoi disegni ci ha risposto così: “A mia madre, la più grande lettrice di Calvino che abbia mai conosciuto”.
Blustrasparente (@erykaluna) – Nata a Firenze 7 anni dopo l’allunaggio, ha una laurea in Cinema, Musica e Teatro conseguita a Pisa, 12 anni di entusiasmante insegnamento nella Scuola Primaria Statale, 1 specializzazione in italiano L2 per alunni non italofoni, il salmastro di Viareggio sulla pelle, 31 mt di libri in 60 mq di appartamento, 8433 foto in 88 città del mondo, 322 film recensiti in 15 righe, una beagle, una gatta, un compagno, un figlio, 8 video, 70 tipi di sabbie collezionate, 12 spezie sempre presenti in casa, 8 anni di blog, 2 romanzi incompleti e tutta la passione con cui ostinatamente vive di queste cose.