Architetti NE* > Domenica 10 novembre 2013, Venezia. I riscrittori di Italo Calvino del Nord Est si incontrano nella città di Marco Polo e declamano brani de Le città #Invisibili. Fermiamo la voce e ascoltiamo il loro racconto.
Pensano di trovarsi in una città come un’altra, magari solo un po’ più bella. I viandanti entrano a Venezia, con un libro in tasca e molta voglia di giocare. Vogliono liberarsi dai centoquaranta caratteri e dalle poche immagini in cui per mesi hanno costretto se stessi. Vogliono dare voce alta alle letture silenziose, compagnia ai soliloqui di stelline e menzioni. Sono lì per tramutare in “nostra” una storia che era “mia”.
Siamo diventati città, mentre Venezia ci abitava. Non appena attraversata la terra e il mare, dall’asfalto o dalla ferrovia, ci accorgemmo che era Venezia ad attraversare noi. Le nostre voci divenivano bava di vento tra le calli fatte di pelle, mentre lei ci percorreva, curiosa e leggera. I nostri occhi erano finestre silenziose che sorvegliavano il suo incedere, e Calvino ci narrava gli espedienti per diventare invisibili. Eravamo noi stessi l’autentica Melania, le mille Eutropia, i soprassotto di Aglaura, e Venezia ci leggeva, ci visitava curiosa, inattesa turista delle nostre passioni. Le bocche in lettura contenevano Clarice, le sue decadenze e le sue rifioriture; le mani stringevano Diomira, ma senza possederla, percorrevano i sentieri di Eudossia, senza muoversi di un passo. Venezia ascoltava il susseguirsi di parole, fiato dopo fiato, tra i vicoli di ginocchia piegate, inguini scoscesi, capelli arruffati. In mezzo alla musica e alla laguna calante, eravamo la serenissima invidia di Babele.
Eravamo strada, sotto i suoi piedi: la passeggiata in un caleidoscopio.
Mano a mano che ci camminava sulla schiena, scompariva a ogni piè sospinto, e noi, leggendo, ci trasformavamo in qualcosa di diverso: non più donne e uomini, ma corpo e voce che all’unisono aprivano sentieri per la traversata che Venezia ci chiedeva.
Ci trovammo ad essere città da scoprire, mentre Venezia ci inghiottiva a ponti levati e campielli assediati.
Abbiamo inventato il verbo che significa “leggere insieme”, poi annegato in un bicchiere di bianco. Siamo tornati a casa con la libertà di coprire una distanza, con la traccia di chi ci ha camminato a fianco e l’attesa del farlo ancora. Ma di Venezia non sappiamo niente: è lei, ormai, a saper noi.
Poco importa, dice il viaggiatore. I miei segreti li ha rubati la città invisibile per antonomasia. Lei che scompare, lei che insieme a quei segreti colerà a picco. Stolto, il viaggiatore. Non sa che Venezia, perché così fragile, è la città più eterna di tutte: la ritroverà in ogni pagina de “Le città invisibili”. Scomparendo del tutto se stesso.
* Architetti NE è il nome che si sono dati i partecipanti a #Invisibili del Nord Est. Abbiamo rubato un paio delle loro foto su Internet, ma se ce ne manderanno altre all’indirizzo info@twitteratura.it saremo felici di realizzare con le più belle una galleria fotografica dedicata a quel giorno, per arricchire questo post.