M.I.M.B.Y. #2: la guerra per le strade

Cosa pensereste se uscendo di casa vi trovaste davanti un esercito invasore? Con M.I.M.B.Y. #2 Daniele D’Antonio ha riportato la guerra per le strade di Torino.

Un anno fa avevi portato gli elicotteri Apache sul cielo della tua città. Ora, con M.I.M.B.Y. #2, la guerra è scesa nelle strade di uno dei suoi quartieri. Perché?

MIMBY2-daniele-dantonioM.I.M.B.Y. #2 è la prosecuzione, ma non l’ultimazione, di questo mio progetto sulla guerra. L’elemento cardine è riportare la percezione del significato della guerra ai suoi aspetti fondamentali: morte, distruzione, paura. Volendo, forzatamente, mantenere la forma espressiva con cui viene comunicata la guerra oggi, quella tecnologica estraniante del videogame, ed evitando la facile caduta nella visione epica e romanzata della finzione cinematografica con immagini più “tradizionali”, ho dovuto introdurre un elemento destabilizzante nei confronti dell’osservatore. Ho quindi cercato di cancellare l’idea che tutto ciò che si vede della guerra sia qualcosa che accade lontano da noi, e non possa coinvolgerci direttamente.

L’unico modo per esprimere questo concetto era portare la guerra direttamente nel nostro quotidiano, nei luoghi che appartengono alle nostre vite, alle nostre storie, ai nostri affetti. L’ho fatto dapprima  dall’alto, con gli elicotteri, l’ho fatto in modo più diretto, emotivamente impattante, portando gli uomini in armi direttamente per le nostre strade e nelle nostre case, oggi, con M.I.M.B.Y.#2. Ho voluto che i civili di M.I.M.B.Y.#2 impersonassero il “noi” di fronte a soldati in azione. Ho voluto riportare l’atto bellico alla contrapposizione diretta tra gli uomini, seppur mediata dalla rappresentazione tecnologica dei visori all’infrarosso e per farlo dovevo mettere i soldati direttamente di fronte ai civili, per le strade, nelle case.


Una delle scene di MIMBY #2 mi ha ricordato una foto scattata a Bijeljina in Bosnia il 31 marzo 1992, in cui le Tigri di Arkan uccidono tre musulmani bosniaci. Da allora a oggi, come è cambiata la rappresentazione mediatica della guerra?

MIMBY - Guerra in JugoslaviaLa guerra vera, per il grande pubblico, non esiste più. I mainstreams comunicano la guerra esclusivamente attraverso i servizi embedded, degni di riviste di moda, con soldati belli, forti, con le armi lucide, o impegnati in buone azioni. In questi servizi, quando vengono rappresentate azioni di combattimento si ha sempre l’impressione del set costruito, dove il massimo della rappresentazione del “nemico” sta in qualche nuvoletta lontana di fumo, per lo sparo di un razzo o per qualche esplosione, oppure, con la rappresentazione dei resti di qualche mezzo nemico bruciacchiato.

Accanto a questo modo fisico di rappresentazione della guerra, c’è l’altro, quello tecnologico: la guerra moderna è fatta di sistemi di combattimento che permettono di colpire a distanza, di comandare armi da basi situate dall’altra parte del mondo rispetto al fronte. E’ un modo di presentare le meraviglie tecnologiche che desta ammirazione per l’efficienza, la potenza, la possibilità di risparmiare le perdite di soldati sul campo, ma che snatura l’atto del combattere, trasformato in videogame, dove però al posto dei pupazzetti che si muovono su uno schermo nella realtà ci sono esseri umani, spesso civili (anche se sempre più frequentemente etichettati come “ribelli”) che vengono colpiti e uccisi, freddamente, senza emozioni, trasformando ogni azione di combattimento in una serie di esecuzioni capitali senza processo e senza legittimità.


Avresti potuto scattare le tue fotografie in un capannone di provincia, oppure in un set fotografico più scenico e commerciale, perché hai scelto il quartiere di Barriera Milano?

Mimby2-soldatiBarriera di Milano è un quartiere che sto frequentando assiduamente da un anno e mezzo circa, per motivi artistici. E’ logisticamente diventato per me il luogo naturale dove progettare, discutere, confrontarmi con gli artisti e la popolazione del luogo. Al di là delle motivazioni personali, Barriera è veramente una terra di frontiera nel tessuto urbano e sociale torinese. Un quartiere dove le contraddizioni, il degrado, le problematiche sociali, produttive, economiche di questa città che muore si concentrano ed amplificano tutte. E’ il quartiere, però, dove si stanno concentrando anche tutte le utopie e le progettualità che dal basso stanno cercando soluzioni a questa crisi, dove le persone, concretamente, stanno pensando a modi e modelli di sviluppo differenti rispetto al passato. E’ un quartiere dove l’innovazione è figlia della disperazione e della voglia o necessità di lottare per inventarsi un futuro. Se a Torino nel prossimo futuro succederà qualcosa di importante, di eclatante, nel bene e nel male, succederà qui. Avrei potuto scegliere un altro posto per il mio M.I.M.B.Y. ?


A Torino si sono appena spenti i riflettori di Artissima e Paratissima. Eppure, l’immagine della città capitale dell’arte contemporanea in Italia mi pare sfuocata. Mi aiuti a riportare le lenti alla giusta distanza dalla pellicola?

Torino resta la capitale dell’arte contemporanea in Italia, non ci sono dubbi. Dispone di risorse autoctone inimmaginabili e di grosse organizzazioni in grado di mettere in piedi gli eventi che hai citato. Dobbiamo però domandarci qual è la strategia che muove questi appuntamenti e quale possa essere il loro collegamento sul territorio.

Torino è ormai da anni una città che a parole promuove se stessa come serbatoio di risorse artistiche e culturali proprie, ma che nei fatti utilizza questo settore per sviluppare forme di turismo mordi e fuggi: i grandi eventi artistici e culturali altro non sono che il risultato di una politica da luna park, dove invece di valorizzare le risorse proprie del territorio, creando un volano economico indotto che si protrae nel tempo al di là degli eventi, genera grandi appuntamenti (il più delle volte con risorse e richiami non locali) che nei fatti per la città si traducono in poca cosa rispetto al volume economico e di pubblico movimentato.

La settimana dell’arte viaggia anch’essa su questa direttrice con l’aggravante che la promozione artistica e valorizzazione delle risorse a Torino avviene esclusivamente attraverso l’oligopolio del sistema museale e delle due fondazioni bancarie che ne fanno parte, all’interno del salotto che gestisce allo stesso modo la politica, la produzione, l’economia e la finanza della città. Il risultato sono questi eventi citati che paiono un elemento di grande vivacità, ma che nella sostanza sono autoreferenziali per i pochi eletti e che non creano la giusta connessione con il territorio, poichè, finiti questi, si ritorna nel deserto dell’assenza di spazi, comunicazione, fondi, che caratterizzano il panorama artistico torinese lasciato a sè stante.

M.I.M.B.Y. #2 di Daniele D’Antonio è in mostra al Barluigi Bottega Aperta Torino 3 fino al 9 dicembre 2013.


Daniele D'Antonio - MIMBY #2Daniele D’Antonio (@danieledantonio) – Nato nel secolo scorso, con almeno cent’anni di ritardo, scopre coi primi capelli grigi che la vita non è solo tecnica e carriera, ma esiste all’interno dell’io una sfera molto più intima e “spirituale”. Riprende in mano la macchina fotografica, abbandonata al termine dell’Università, e inizia a fermare le immagini di una realtà quotidiana spesso paradossale, sovente drammatica, frequentemente farsesca, dove cerca di evidenziare da un lato la vita assurda che ognuno di noi conduce in questa epoca, e dall’altra tutto ciò che, in un modo o nell’altro, ognuno di noi si perde per la strada, per ignoranza, appiattimento, ignavia.