Mirko Volpi: riscrivere Dante su Facebook

Federica Castelletta (*) > Il dantista Mirko Volpi usa Facebook per rifare la Commedia in chiave parodica. Con lui parliamo di reti sociali, letteratura e riscritture.

Dantista, storico della lingua e docente di Modelli e tecniche di scrittura all’Università di Pavia, Volpi (classe 1977) ha pubblicato – tra le altre cose – il trecentesco Commento alla Commedia di Iacomo della Lana, in 4 tomi, per la Salerno (del 2009, l’edizione si trova nelle più importanti biblioteche universitarie del mondo) e recentemente un volume di saggi sulla lingua della politica nella prima metà del Novecento, intitolato “Sua maestà è una pornografia!” Italiano popolare, giornalismo e lingua della politica tra la grande guerra e il referendum del 1946 (Libreriauniversitaria.it, 2014). Da alcuni anni intrattiene centinaia di utenti con le sue rielaborazioni letterarie, sapendo unire le sue abilità di studioso alle risorse dei nuovi media. Sulla sua bacheca, infatti, ogni giorno amici virtuali e no possono leggere le rivisitazioni di celeberrimi testi poetici, o il Canzoniere per Belen, ma soprattutto la Crasta Commedia, un’ambiziosa riscrittura dell’Inferno dantesco in slang giovanile.

Dantista esperto, dicevamo. Dopo studi complessi e pubblicazioni di alto livello accademico, nasce la Crasta che – come tutto ciò che la riguarda – è sì di qualità, ma molto spiritosa. È la sua passione ad averle suggerito l’idea di riscrivere l’Inferno

Direi di sì, l’amore – non so se ricambiato – per Dante è stato senz’altro il motivo scatenante e il motore che mi ha fatto intraprendere questa follia di riscrivere interamente la prima cantica. Lo spunto mi è venuto oltre un anno fa, quando mi sono imbattuto per caso in un artista statunitense, Sandow Birk, che ha illustrato l’intero poema ambientandolo nella Los Angeles di oggi: le tavole accompagnavano un’edizione con traduzione in slang americano che ho subito comprato e che, anche se non ci capivo quasi niente, mi ha divertito e affascinato. Ho pensato allora di attualizzare l’Inferno, anzitutto per via linguistica, riscrivendolo cioè in linguaggio giovanile – per la precisione lombardo-milanese – quel gergo così frequentemente usato dagli adolescenti: quello che si sente nelle canzoni di Fabri Fibra o dei Club Dogo, per intenderci. E così, il Dante della Crasta (che in slang significa ‘giusta, figa’) è diventato un ragazzotto dell’hinterland di Milano che, anziché nella selva oscura, si perde a Rozzano e che prima di poter salire sul monte del purgatorio, cioè all’Ipermercato, dove l’amata Bea lavora in una boutique, deve scendere – guidato sempre da Virgilio, ovviamente – nella metro-inferno, ossia nelle stazioni (i gironi danteschi) della linea zero della metropolitana meneghina. Lì il protagonista trova i dannati, cioè i moderni tamarri, colpevoli però degli stessi peccati indicati dal poeta.

Quindi ha mantenuto la stessa struttura dell’Inferno di Dante: è una riscrittura a suo modo “fedele”.

Proprio così. I canti sono (anzi, saranno, perché la sto ultimando) 34, la scansione del testo, la successione dei gironi e la suddivisione dei peccatori le stesse dell’originale: persino il numero di versi di ciascun canto riprende esattamente quelli danteschi, solo che io ho scritto non in terzine ma in sbilenchi endecasillabi liberi. Qualche libertà me la sono presa con i personaggi (per lo più gli stessi di Dante): stravolti nei loro caratteri peculiari e spesso affiancati da figure di oggi come, ad esempio, Pier delle Vigne è diventato il commercialista che aiutava Federico II a evadere; tra i lussuriosi ho messo anche Clinton e Berlusconi, tra i tiranni del canto XII, Pol Pot e Hitler, ecc. La cosa più difficile, ma allo stesso tempo divertente, è stata trasferire a Milano tutti i riferimenti fiorentini e trovare i corrispettivi moderni e degradati dell’espediente retorico più caratteristico di Dante: le similitudini. L’opera di rifacimento si ferma però alla prima cantica a causa della lingua adottata: se nell’Inferno – col suo vulcanismo e la presenza di più registri, anche i più bassi – può dispiegarsi con una qualche efficacia, nel Purgatorio e soprattutto nel Paradiso perderebbe ogni possibilità espressiva.

Ci potrebbe citare qualche verso della Crasta?

Volentieri. Questo è l’incipit, i primi versi della Traccia (così ho ribattezzato i canti) n. 1:

Tipo che a metà di settimana scorsa
mi sono perso in culo al mondo,
che il tom-tom mi si era fuso.
Era una posto assurdo, in periferia,
Rozzangeles, tipo, che se ci penso
ritorno in sbattimento fisso.
È che la mia vita era sballata,
non ci stavo più dentro, non so,
nel senso: poi ti spiego tutto.
Ero così rincoglionito dall’ape
fatto la sera prima in corso Como,
che ho cannato l’uscita in tangenziale.
Così mi ritrovo in questa zona
fuori dalla city, nel regno dei tamarri
suburbani: mollo l’auto tra i cantieri
e i palazzi anni 70 (schifo e merda dappertutto),
finché, minchia!, slumo la salvezza:
un grattacielo, forse un iper su più piani.

E il finale del canto V:

Noi leggevamo un giorno per diletto
le avventure a tre metri sopra il cielo:
eravamo tutti scialli e tranzolli.
Quel romanzo ci prendeva bene,
eravamo intrippati alla grande,
finché è scoppiato il macello.
Appena arriviamo al momento
clou in cui Step si bomba Babi,
Paolo, che me la batteva fisso,
mi piazza una mano sulle tette.
Galeotto fu Moccia e chi lo lesse:
quel giorno poi abbiamo fatto altro”.
Mentre la Francy raccontava,
il tizio sbrocca in modo allucinante:
così mi prendo male da paura.
E crollo come avessi fumato ganja.

Twitteratura invita a riassumere e rielaborare capitoli o parti di grandi classici della letteratura. Cosa significa per lei riscrivere un capolavoro come la Divina Commedia?

Riscrivere, e in questo caso fare parodia, significa secondo me rendere omaggio a una grande opera: è un atto d’amore, in fondo. E la dimostrazione che un capolavoro, come la Commedia, resiste a tutto, persino a questa “violenza”. Anche se forse Dante si sta rivoltando nella tomba, o si sta facendo una risata. Ma ne dubito.

La Crasta però non è l’unico esempio di rielaborazione letteraria sul web che porta la sua firma. Da grande estimatore di Belen Rodriguez, le ha dedicato una raccolta di odi. Le sue fonti di ispirazione sono stati Catullo, Pascoli, D’Annunzio, Montale e, ancora una volta, Dante. Un contrasto a dir poco interessante: ce ne parli.

Questo è stato un caso di puro divertimento letterario, di gioco colto, per rendere ancora più paradossale il mio tributo a Belen. Così ho ripercorso i più svariati modelli, generi e metri (dai versi sciolti alle quartine di endecasillabi o di ottonari, dagli haiku alle arguzie barocche con titoli più lunghi dei testi stessi), ed è stato naturale ritrovarsi a imitare anche celeberrime poesie di grandi autori. Mi piaceva l’idea di far cozzare un argomento moderno e ultrapop (se non kitsch) con le più alte forme della nostra tradizione poetica.

Per fare un esempio, ho ripreso la celebre poesia di Montale così:

Ho sceso, guardandoti il culo, almeno un milione di scale.
Non è che ti pedinavo: lo guardavo sul giornale.

Dopo aver seguito grandi poeti per le Odi a Belen, cita anche Leopardi con la notevole riscrittura di A Silvia che, tramutata in A Silvio, ripercorre il periodo in cui Berlusconi venne condannato in via definitiva.

Il principio-guida è stato il medesimo: riferimenti alti, calati in un contesto basso, con conseguente mescolanza di linguaggio ottocentesco e moderno, anche triviale. E come è stato per tutti i casi analoghi, il testo è nato da un’intuizione improvvisa ed è stato steso di getto, in pochi minuti: sempre però rispettando il numero di versi e la divisione in strofe dell’originale. Credo che la riscrittura parodistica necessiti di grande serietà e correttezza filologica.

Da Facebook nasce Il Diario di Mirko V., pubblicato nel 2011 da Epika Edizioni. Ci racconti com’è andata.

Il diario di Mirko V.In effetti Facebook e le sue dinamiche di interazione hanno scatenato in me l’impulso alla scrittura. Anzi, il Diario è nato sì ancora come gioco estemporaneo, ma anche per forzare quelle dinamiche comunicative, mettendole alla berlina. Un giorno ho provato a fingere di tenere il mio diario segreto su FB, parlando di cose irrilevanti, assurde, surreali, e sfottendo così chi sul social network scrive di sé e della propria vita nel modo meno interessante e più noioso possibile. A poco a poco ho creato un mio alter ego (Mirko V.) che mi rappresentava, ma non del tutto e ho costruito una sorta di trama, inventato altri personaggi, creato tormentoni e temi ricorrenti. La cosa è piaciuta non solo ai miei amici ma anche a Lorella Fontanelli, di Epika Edizioni, che ha voluto farne un libro. Così ho dato ordine e forma ai miei status, e ho aggiunto pure delle foto di mie fantomatiche ex in pose discinte: il volume si è dunque interamente costruito con materiali sorti su e pensati per Facebook. Le cui potenzialità, sotto questo aspetto, mi sembrano davvero incredibili e ancora da sfruttare appieno. A patto che non ci si senta scrittori per il solo fatto di avere una tastiera sotto le dita.

Facebook sembra essere il suo Social prediletto per le attività ludico-letterarie. Sarebbe interessante poterla leggere anche in pillole su Twitter. Che ne pensa?

Quanto a ciò che dicevamo, e mi limito a quello, Twitter mi pare offra meno possibilità, se non nel campo della riscrittura sintetica – come testimoniano le belle iniziative di Twitteratura. Io personalmente non lo uso, non riesco ancora a entrare nei meccanismi, lo trovo anche visivamente difficile. Ma forse è un limite mio. O magari non voglio rischiare di passare 20 ore al giorno sui social network!

(*) Federica Castelletta, Tutor di Professioni dei media presso Università degli Studi di Pavia, collabora con Twitteratura dal marzo del 2014.