#2019SI – Mario Luzi

Mario Luzi, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Milano, Garzanti, 1994.*


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«Simone Martini, secondo le storie divulgate, morì ad Avignone nel 1344. Forse reco offesa alla verità storica, forse no immaginando questo estremo viaggio intrapreso al richiamo di Siena e del suo mondo. Con la moglie Giovanna, con il fratello Donato, pittore, e la moglie di lui bella e strana, di nome anch’essa Giovanna e le loro figlie e qualche domestico si mette in cammino per l’Italia. La carovana ha da seguire un percorso lungo e faticoso. La accompagna uno studente (è da supporre di teologia) che rientra al termine dei suoi studi a Siena: testimone, interprete e cronista oltre che parte integrante dell’avventura. Lo scriba è un po’ ciascuno di loro e nessuno in particolare. […] I titoli fungono in questo caso da semplici didascalie.»


Mercoledì, 25 giugno 2014

SIMONE

Dorme il suo viaggio, lui, entra
fasciato dal suo sonno
nello spazio che lo ingoia
e nel tempo che lo attende.
Entra nel suo futuro
lui, dormiente.
Grazia
già preparata – azzurro
e oro di un granito campo –
o agguato
da sempre o imboscata dell’istante –
che c’è oltre il sipario
che gli s’apre, cielo
impercettibilmente,
penombra di caverne – o niente:
il tempo a cui, figlio, si rende,
la durata a cui si affida,
il filo inafferrabile dell’universa vita…

[…]

VIA DA AVIGNONE

Ritorno?
o ripiegamento,
un attimo
in più sicuri alberghi
dell’animo e del senso,
effimero rientro
in terre più salubri
al corpo e alla ragione
tramutate già in splendore
e oro dalla loro gloria?

Saprebbero
assai meglio di lui
rispondere
le fronti un po’ aggrottate,
gli sguardi tesi
in lontananza di Giovanna
e dei pochi altri seguaci.
Lui esita, non sa
l’avventura che lo chiama,
non decifra l’auspicio,
sa soltanto
che è tempo, ora, di muoversi,
di valicare i monti.

Ma intanto quello sgocciolio di tende,
stillicidio, a lungo,
nel controluce argento
degli alberi di pietra
e di quelli del bosco,
profusione
di tutta la materia
in unico deflusso
verso dove? L’erba là
all’orizzonte, aperta primavera.

Ma, ecco,
è in piedi la carovana,
attende
agli ultimi ritocchi
pronta – quasi –
al cammino che riprende…
Lui rivede
– e gli altri in sintonia?
ne dubita e lo pensa –
i tre giorni di diluvio
stillanti ancora
dai tetti, ruscellanti
nei fossati presso il ricovero
dove furono – perché inquieti?
perché taciturni? –
Così riprendono il passo,
il varco è prossimo
lo sanno, tuttavia pare
lungo l’approssimarsi,
lento l’ambio.
Scoscende l’alpe,
non più alpe appennino,
casolari
qua e là, camini,
umido
qualche fumacchio trascolora.
Smotta sotto gli zoccoli
l’appena rassodato suolo,
slitta il mulo sopra fango
ghiaia ciottoli,
appare, sotto,
abbagliata dalla sua baia, Genova.
O Italia ininterrotto agone,
Ininterrotta pena.

[…]



Giovedì, 26 giugno 2014

Genova, meraviglie
che a una a una sciorina –
festoso saliscendi,
sfolgorante mattino –
la nostra traversata
calando noi con ombre
in quella
solare cavità,
noi, luce, risalendo
precipizi
di pietre, ardesie, marmi,
fissa in basso la vampa
della fornace marina
oh posta
da chi sul mio cammino,
scala, scala continua
per cui l’inferno si approssima
o il paradiso s’avvicina.

[…]

ABBESSE

Mente libera – parve –
uscita dalla valva
della sua cattività,
staccatasi dal ramo
del suo albero di sensi,
mente franca, intelligenza d’angelo,
suo volo, sua calata
nell’infimo
e nel sovrumano della sfera –
chi era, non le rimordeva storia,
non le coceva identità.
Solo era
in quel punto estasi, canto.
E ora
la fulmina la luce
nuova di nuove conoscenze,
le spalanca essa più nere
profondità
di non sapere. Ma è forte,
non si smarrisce, valica
i trapassi repentini
del mutevole crinale,
certa, non fosse per un grano
che le manca – lo sente
e ciò le brucia – d’umiltà,
di pace, di misericordia – troppo alta,
troppo difettiva mente…

[…]

OLOFERNE?

Attento. Non aprire.
Chi suona
e dice al vocafono il suo nome
non è lei veramente,
non è colei che credi
e per antica tenerezza
aspetti
sempre
un poco trepidando,
balsamo,
diurna
iniezione di luce e vita
che a te
da te profusa
ritorna con più gaudio,
è una tenebrosa clitemnestra,
tiene a mala pena
celata la mannaia
che si abbatterà sulla tua nuca
schiantando testa e scheletro,
devastando in se stessa
il tuo sogno passato,
la tua fede, la tua carità.
Non aprire! non aprire!

Ora che hai aperto dissanguati,
agonizza come deve un uomo –
ma è più di quanto
la sua animalità ricordi.

[…]



Venerdì, 27 giugno 2014

Si approssima Firenze.
Si aggrega la città.
S’addensano i suoi prima
rari sparpagliati borghi.
S’infittiscono
gli orti e i monasteri.
Lo attrae nel suo gomitolo,
ma è incerto
se sfidarne il labirinto
o tenersi alla proda, non varcare il ponte.
Il seguito è sfinito. Il sonno e il caldo
ne annientano il respiro.
È là, lei, la Gran Villa
che brulica e formicola.
Di là dal fiume. Lo tenta
e lo respinge,
ostica, non sa
bene in che cosa, ma ostica
eppure seducente,
vivida. In molti lo conoscono,
alcuni tra i Maestri
pregiano la sua arte,
ma lui teme la loro,
evita il paragone,
non desidera il confronto.

Lo soppiantano – si dice –
Avverte il mutamento. Subentrano
più rudi,
più solidi e corposi
e prossimi ai mercanti,
è vero, i nuovi artisti.
Irridono la sua sublimità
e quella dei maggiori.
A lui piace e non piace quel vigore
dei corpi, quella forte
passione delle forme.
Non è alto cifrato quello stigma.
Ma questo è ora il secolo, si lascia
alle spalle non lui forse
ma gli umili compagni
nella inarrivabile officina, i “candidi
e celesti fabbricanti
d’immagini” – li chiamano questi,
fieri del loro nuovo stile.
Ah Firenze, Firenze. Sonnecchiano
intontiti i viaggiatori nella sosta.
Meglio rimettersi in cammino,
prendere la via di Siena, immantinente.

[…]

Mi guarda Siena,
mi guarda sempre
dalla sua lontana altura
o da quella del ricordo –
come naufrago? –
come transfuga?
mi lancia incontro
la corsa
delle sue colline,
mi sferra in petto quel vento,
lo incrocia con il tempo –
il mio dirottamente
che le si avventa ai fianchi
dal profondo dell’infanzia
e quello dei miei morti
e l’altro d’ogni appena
memorabile esistenza…
Siamo ancora
io e lei, lei e io
soli, deserti.
Per un più estremo amore? Certo.

[…]

Nuovi luminosi incanti,
nuove
celestiali incandescenze
di senso e desiderio,
nuove
a quell’altezza
insospettate concretezze
di uomini e d’eventi –
così un’epoca
d’ardore e d’acrimonia
prodigava i propri istanti
e alcuni s’addensavano
in forme,
altri infuocavano
l’azzurro
e la terra di Siena dei dipinti,
altri erano santi –
di anno in anno
esistenza in esistenza
si frangevano i tempi
tra quelle terse
durature immagini…
questo imparavano gli infanti,
di questo tacevano sgomenti.


* Per facilitare la lettura su smartphone, i versi non mostrano i paragrafi rientrati presenti nel testo originale (ndr).


Il gioco di Tw Letteratura per #2019SI continua con Simone Martini
Da sabato 28 a lunedì 30 giugno osserva, commenta e riscrivi La Maestà, Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi, Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita.