#2019SI – Santa Caterina da Siena

Santa Caterina da Siena, Pensieri di Santa Caterina da Siena, (a cura di Piero Misciattelli), Siena, Liberi editori Giuntini Bentivoglio, 1913.


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Caterina nasce a Siena nel 1347. Il suo carisma mistico si rivela molto presto e, fin da bambina, si sottopone a intense privazioni fisiche. Ha dodici anni quando i genitori decidono di maritarla, ma Caterina si rifiuta e, in ultimo, riesce a persuaderli della sua vocazione. A sedici anni prende il velo del terzo ordine domenicano, iniziando una fervente attività religiosa che spingerà a raccogliersi attorno a lei laici e chierici con il nome di ‘Caterinati’. La sua influenza nella Chiesa cresce tanto da rendere determinante il suo ruolo per convincere papa Gregorio XI a riportare la sede papale da Avignone a Roma nel 1377. Muore a Roma nel 1380, a soli trentatrè anni, mentre è impegnata nel dare sostegno al nuovo papa Urbano VI contro l’antipapa di Avignone, Clemente VII. Alla sua morte, lascia circa quattrocento lettere rivolte ai potenti di tutto il mondo.


Domenica 13 luglio 2014

CCIV – A Gregorio XI

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

[…] E se voi mi diceste, padre: - il mondo è tanto travagliato! in che modo  verrò a pace? - dicovi da parte di Cristo crocifisso: tre cose principali vi conviene adoperare con la potenza vostra.

Cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi ne traggiate li fiori puzzolenti, pieni di immondizia e di cupidità, enfiati di superbia; cioè li mali pastori e rettori, che attossicano e imputridiscono questo giardino. Oimè, governatore nostro, usate la vostra potenzia a divellere questi fiori. Gittateli di fuori che non abbino a governare. […]

Piantate in questo giardino fiori odoriferi, pastori e governatori che siano veri servi di Gesù Cristo, che non attendano altro che all’onore di Dio e alla salute delle anime, e sieno padri de’ poveri.

Oimè, che grande confusione è questa, di vedere coloro che debbono essere specchio in povertà volontaria, umili agnelli, distribuire della sustanzia della santa Chiesa a’ poveri; ed egli si veggono in tante delizie e stati e pompe e vanità del mondo, più che fussero mille volte nel secolo! Anzi molti secolari fanno vergogna a loro, vivendo in buona e santa vita. Ma pare che la somma e eterna Bontà faccia fare per forza quello che non è fatto per amore: pare che permetta che gli stati e delizie siano tolti alla sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo  stato primo poverello, umile, mansueto, com’era in quello tempo santo, quando non attendevano altro che all’onore di Dio e alla salute dell’anime, avendo poi ch’ha ammirato più alle temporali che alle cure delle cose spirituali, e non temporali. […] Ma pensate, padre dolce, che maleagevolmente potreste fare questo, se voi non adempiste l’altre due cose che avanzano a compiere l’altre: e questo sì è dello avvenimento vostro, e drizzare il gonfalone della santissima croce. E non vi manchi il santo desiderio per veruno scandalo né ribellione di città che voi vedeste o sentiste; anzi più s’accenda il fuoco del santo desiderio e tosto volere fare. E non tardate però la venuta vostra .[…[ Io vi dico, padre in Cristo Gesù, che voi veniate tosto come agnello mansueto […] io vi dico: venite, venite, e non aspettate il tempo, chè il tempo non aspetta voi. Allora farete come lo svenato  Agnello, la cui vice voi tenete;  che con la mano disarmata uccise li nemici nostri, venendo come agnello mansueto, usando l’arma della virtù dell’amore, mirando solo avere cura delle cose spirituali, e rendere la Grazia all’uomo che l’aveva perduta per lo peccato. […] non vogliate credere a’ consiglieri del dimonio, che volsero impedire il santo e buono proponimento. Siatemi uomo virile e non timoroso. Rispondete a Dio, che vi chiama che veniate a tenere e possedere il luogo del glorioso pastore santo Pietro, di cui vicario sete rimasto. E drizzate il gonfalone della croce santa […] Reponetele il cuore, che ha perduto, dell’ardentissima carità: chè tanto sangue li è stato succhiato per gli iniqui devoratori, che tutta è impallidita. Ma confortatevi, e venite, padre, e non fate più aspettare li servi di Dio, che s’affliggono per lo desiderio.

E io misera miserabile non posso più aspettare: vivendo, mi pare morire stentando, vedendo tanto vituperio di Dio.[…]

Lunedì 14 luglio 2014

CCIX – A Gregorio XI

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

[…] Oimè, non pare che voglia che noi attendiamo tanto alla signoria e sostanzia temporale, che non si vegga quanta è la destruzione e il vituperio di Dio […] ma pare che voglia che apriate l’occhio dell’intelletto sopra la bellezza dell’anima, e sopra il sangue del Figliuolo suo; del quale sangue lavò la faccia dell’anima nostra: e voi ne sete ministro. […] Perocchè colui che ha fame dell’onore di Dio […] egli lassa andare la vita sua corporale, e non tanto la sostanzia.

Benchè, potreste dire, santo Padre: «Per coscienza io sono tenuto di conservare e racquistare quello della santa Chiesa.» Oimè, io confesso bene che egli è la verità; ma parmi che quella cosa che è più cara, si debba meglio guardare. Il tesoro della Chiesa  è il sangue del Cristo, dato in prezzo per l’anima: perocchè il tesoro del sangue non è pagato per la sostanzia temporale, ma per la salute dell’umana generazione. Sicchè, poniamo che siate tenuto di conquistare e conservare il tesoro e la signoria delle città la quale la Chiesa ha perduto; molto maggiormente sete tenuto di racquistare tante pecorelle, che sono un tesoro nella Chiesa […]. Meglio c’è dunque lassar andare l’oro delle cose temporali, che l’oro delle spirituali […].

Aprite, aprite bene l’occhio dell’intelletto con fame e desiderio della salute dell’anime, a riguardare due mali: cioè ‘l male della grandezza, signoria e sustanzia temporale, la quale vi par essere tenuto di racquistare;  e il male di veder perdere la Grazia nell’anime, e l’obedienza la quale debbono avere la Santità Vostra. E così vedrete che molto maggiormente sete tenuto di racquistare l’anime […].

Perocchè con queste guerre e malaventura non veggo che possiate avere una ora di bene […]. E veggo che impedisce  il santo vostro desiderio, il quale avete della reformazione della Sposa vostra. Reformarla, dico, di buoni pastori e rettori. E voi sapete che con la guerra malagevolmente il potete fare: chè, parendovi avere bisogno di principi e di signori, la necessità vi parrà che vi stringa di fare pastori a modo loro, e non a modo vostro […] si metta però pastori, o altri che sia, nella Chiesa, che non sia virtuoso, […] cercando la gloria e la loda  del nome suo. E […] enflato per superbia, […] porco per immondizia, […] foglia che si volve al vento delle proprie ricchezze e vanità del mondo. […] Tollete dunque via la cagione della guerra […]. Voi avete bisogno dell’auditorio di Cristo Crocefisso; in lui ponete l’affetto e il desiderio, e non in uomo e in auditorio umano; ma in Cristo dolce Gesù la cui vice voi tenete; che pare che voglia che la Chiesa torni al primo dolce stato suo. […] Chè son due cose, perchè la Chiesa perde e ha perduto i beni temporali, cioè la guerra, e per lo mancamento delle virtù. Chè colà, dove non è virtù, sempre è guerra al suo Creatore. Sicchè la guerra n’è cagione.


Martedì 15 luglio 2014

CCCLXX – Ad Urbano VI

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo Padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina. Indegna e miserabile figliuola,  scrivo a voi con grande desiderio di vedere in voi una prudenzia  con lume di dolce verità, per sì fatto modo che io vi vegga seguitare glorioso santo Gregorio. […] Ho sentito, padre santissimo della risposta che ha fatta l’impeto del prefetto; drittamente impeto d’ira e d’irreverenzia agli ambasciatori romani: sopra la quale risposta pare che debbano fare consiglio generale; e poi debbono venire a voi e’ caporioni, e certi altri buoni uomini. […]

E pregovi umilmente, che con prudentia miriate di sempre promettere quello che  vi debbo essere a voi possibile di pienamente attendere, acciocchè non ne séguiti poi danno, vergogna e confusione.

E perdonatemi, dolcissimo e santissimo Padre, che io vi dica queste parole. Confidomi che l’umiltà e benignità vostra è contenta che elle vi sieno dette, non avendo a schifo né a sdegno perchè elle escano di bocca d’una vilissima femmina: perocchè l’umile non ragguarda chi gli dice, ma  attende all’onore di Dio, e alla verità, e alla salute sua. […]

Siatemi tutto virile con un timore santo di Dio; tutto esemplario nelle parole,  nei costumi e in tutte le vostre operazioni. Tutte appariscono lucide nel cospetto di Dio e degli uomini; siccome lucerna posta in sul  candelabro della santa Chiesa, alla quale ragguarda e debbe ragguardare tutto il popolo cristiano.

Anco vi prego che di quello che Leone vi disse, voi ci poniate rimedio; perocchè tuttodì questo scandalo cresce sempre più, non solamente per quello che fu fatto all’ambasciatore senese, ma per altre cose che tuttodì si veggono, le quali hanno a provocare ad ira li cuori debili delli uomini. Non avete oggi bisogno di questo, ma di persona che sia strumento di pace, e non di guerra. […] E però prego la Santità vostra strettamente, che condescenda alla infermità degli uomini, a procurare d’un medico, che sappia meglio curare la infermità di lui. E non aspettate tanto che la morte ne venga: chè io vi dico, che se altro rimedio non ci si pone, la infermità crescerà.

Poscia ricordovi della ruina che venne in tutta Italia per non provedere alli cattivi Rettori, che governavano per sì fatto modo, che essi sono stati cagione d’avere spogliata la Chiesa di Dio. Questo so che voi ‘l cognoscete.
Vegga ora la santità vostra quello che è da fare.

[…] Umilmente v’addimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.



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