La Grande Guerra è stata la prima esperienza di massa per gli italiani: se Lussu la visse da intellettuale interventista, la maggioranza dei soldati erano contadini analfabeti catapultati al fronte, per i quali fu solo orrore. Per il pastore Duilio Faustinelli fu una “Cattastrofe”.
Quest’anno ricorre il centenario dello scoppio della Prima Guerra mondiale, che ogni Paese europeo sta commemorando ufficialmente (per l’Italia ecco il sito ufficiale del Governo) e che Tw Letteratura ha voluto ricordare con #Lussu, la riscrittura su Twitter di Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu. Oggi intervistiamo Giancarlo Maculotti, curatore de La Cattastrofe (prima edizione a cura del Circolo Culturale Ghislandi di Breno, 1982; Giuseppe Laterza edizioni, 2009) che raccoglie i diari del pastore Duilio Faustinelli dedicati alla sua esperienza di combattente della Prima Guerra mondiale e alla pastorizia: quello dedicato alla Grande Guerra è un documento davvero straordinario per lingua e contenuti.
La cattastrofe raccoglie i diari scritti dal pastore Duilio Faustinelli, originario di Pezzo (frazione di Ponte di Legno e ultimo paese della Valle Camonica a Nord): si tratta di documenti straordinari per ciò che raccontano e per lo stile scelto dall’autore. Come ne è venuto a conoscenza?
A Pezzo ci conosciamo tutti e siamo tutti parenti: Duilio ha sposato la sorella di mio nonno. Nei bar del paese parlava in continuazione della guerra, recitando le stesse parole del Diario. La gente lo evitava poiché l’aveva già sentito mille volte, io lo ascoltavo sempre volentieri: era un affabulatore nato e a furia di frequentarlo nacquero fiducia e amicizia reciproche. Un giorno mi azzardai a chiedergli il suo Diario, che non mostrava a nessuno cosciente del fatto che conteneva fatti ed affermazioni poco in linea con la memorialistica dell’epoca. Eravamo all’inizio degli anni Settanta, il libro Plotone d’esecuzione era appena uscito, il film Uomini contro anche. Con i miei amici di Pezzo avevamo fondato una biblioteca popolare mettendo in comune i nostri libri e raccogliendo scritti inediti: Duilio mi lasciò il Diario un paio di settimane e ne feci quattro copie dattiloscritte, due per la biblioteca. Fu il libro più richiesto in tutti quegli anni gloriosi della Biblioteca popolare di Pezzo.
Il Diario di guerra è sorprendente per due motivi: la lingua, poiché l’autore utilizza un italiano poco corretto dovuto alla sua scarsa alfabetizzazione (che lei ha saputo mantenere con un ottimo editing), e i contenuti, perché essendo privato l’autore racconta anche i suoi tentativi di autolesionismo per sfuggire alla trincea. In nessun’altra pubblicazione sulla Grande Guerra troviamo descritti così esplicitamente questi tentativi di diserzione: da un punto di vista documentaristico – come sottolineato anche dal prof. Emilio Franzina nella prefazione – possiamo parlare di un gioiello conservatosi intatto per anni?
In Duilio non c’era il filtro intellettuale che porta a ideologizzare a posteriori i fatti. Era un pastore-contadino che non aveva gridato in piazza “Viva la guerra” o aveva sposato l’interventismo sia pur democratico come Lussu, Jahier, Stuparich. Si era trovato la guerra addosso come i temporali e la neve nella vita di pastore, aveva tutto il diritto di rifiutarla almeno psicologicamente o comunque di non sentirsene responsabile. Dinanzi all’immane “Cattastrofe” voluta dall’uomo non poteva che rimanere sbalordito e non poteva che essere quotidianamente meravigliato del fatto che “il destino” fa ammazzare il commilitone accanto a lui e non lui, in un gioco alla roulette russa che non ha nulla di predefinito e men che meno di razionale. Un anno sull’Altipiano è considerato il capolavoro della memorialistica di guerra: a buona ragione, ma non può che essere reticente sui motivi scatenanti del conflitto essendo Lussu interventista. Duilio è molto più libero: ha meno mezzi espressivi rispetto a un intellettuale ma nella narrazione non obbedisce a ideologie. Racconta ciò che ha visto con i suoi occhi, punto, più per sé che per il pubblico, anche se è cosciente del valore storico del suo Diario: infatti scrive perché vuole che non sia dimenticato l’orrore di cui è stato testimone. Ma scrive per i famigliari e i posteri, non per la pubblicazione.
Da un punto di vista letterario, nel Diario di guerra l’autore ha coscienza di sé non solo come uomo e soldato ma anche come personaggio letterario, un aspetto sorprendente per una persona poco scolarizzata. Possiamo dire che, letterariamente parlando, Duilio si rappresenti come un eroe, che sebbene non rispetti sempre le regole (vedi l’autolesionismo) vive gli anni del conflitto con un vitalismo travolgente che ne giustifica anche le furbizie?
La vita del pastore transumante è piena ogni giorno di imprevisti, come la guerra. Il racconto di Duilio è simile alle narrazioni che ai suoi tempi avvenivano nelle stalle durante le serate di stremas (extrema die): chi sapeva raccontare i fatti della vita trovava un pubblico di poche persone disposte ad ascoltarlo mentre si filava la lana o si sferruzzava. Il salto però dall’oralità alla scrittura non è di tutti. L’obiezione che mi son sentito fare più volte è “Sembra che solo lui abbia fatto la guerra”. La differenza con gli altri è che lui l’ha scritta: anche mio nonno era sul Carso e a Caporetto ma non ne ha mai parlato e mai scritto. Ciò che non si scrive sparisce nel nulla, Duilio ne è cosciente. In lui non ci sono intenti letterari o pedagogici ma la coscienza di saper narrare e saper colorire la narrazione: non credo voglia presentarsi come eroe ma solo descriversi come un soldato che, grazie al destino, a un po’ di furbizia e ai santi protettori, ha portato a casa la ghirba mentre un numero impressionante di suoi coscritti è rimasto sul terreno. Duilio è cosciente che non è merito suo se ha portato a casa la pelle e anche ciò, a mio avviso, lo incita a scrivere.
Davanti ai momenti più brutti, i ricordi di Duilio sfumano nell’indefinito del terrore, come è logico. Eppure, una certa religiosità mischiata a fatalismo sembra sostenerlo anche nei momenti peggiori: poteva esistere secondo lei un’ancora di salvezza più razionale?
No, non esistevano ancore di salvezza razionali. Gadda, scrittore interventista, non si rassegnò per tutta la vita alla perdita in guerra del fratello. La guerra è irrazionalità pura spinta all’estremo. Rileggiamo le pagine di Papini: che ci troviamo di razionale? Che c’è di razionale nel conflitto palestinese-israeliano che tenta di risolvere un problema con le armi e da quasi un secolo fallisce inesorabilmente e prevedibilmente ogni volta?
Le uniche ancore di salvezza psichica per chi è coinvolto in fatti bellici contro la sua volontà appartengono all’irrazionalità, come in Duilio: religiosità, superstizione, destino. Duilio portava gli scapolari con le immagini dei santi ai quali era devoto e attribuisce in parte a essi il merito della salvezza. Ma quanti caduti portavano sul petto le immagini sacre protettive? Migliaia, centinaia di migliaia. Eppure oggi sono nei sacrari, inutilmente sacrificati alle ideologie della guerra rigeneratrice. Rigeneratrice certamente di altre guerre: la Seconda Guerra mondiale, lo sappiamo, è figlia diretta della Prima.
Oltre al Diario di guerra è interessante anche la parte del libro dedicata all’arte pastorizia: pastore di pecore, egli trascorreva l’estate a Pezzo e l’inverno vicino Cremona, in un continuo nomadismo. Parlando del suo lavoro e della guerra, in Duilio emerge spesso una lamentela sociale: più che una critica ai padroni (delle pecore o degli eserciti) sembra il lamento di chi è chiamato a grandi sacrifici e risponde controvoglia, come se fosse disposto a sopportare tutto ciò nella speranza di una ricompensa. È questa una particolare visione del mondo, tipica delle masse contadine italiane tra ‘800 e ‘900?
Sì, è la visione fatalistica propria del mondo contadino, in definitiva il miglior approccio ai problemi della vita. Che ne è infatti della razionalità odierna? Funziona solo per la vita normale e senza grossi problemi. Ma quando cadono le Torri Gemelle, viene abbattuto un aereo sui cieli dell’Ucraina, arriva il tumore o un’altra malattia, o capita un incidente stradale, la razionalità va a ramengo: non sa più cosa dire e cosa fare, si rifugia nella Stamina come nella Madonna di Lourdes. Ritorna insomma all’irrazionalità. Ecco allora che il fatalismo contadino – coscienza di non poter per quasi nulla incidere sui destini del mondo e dell’umanità – ritorna moneta spendibile sul mercato. Senza la psicologia del fatalismo era possibile partire a piedi ogni primo ottobre e attraversare 200 km ostili per arrivare nel Cremonese e poi tornare ai quaranta di maggio sulle proprie montagne? La razionalità serve molto ma l’Universo se ne strafrega della nostra razionalità. Il fatalismo a volte è tradizionalista e contro il progresso, questo sì, ma, paradossalmente, ha delle buone ragioni dalla sua parte.
In tale visione del mondo, gli umili come Duilio trovano posto solamente come ingranaggi e strumenti e mai con un ruolo attivo. Per non soccombere, l’autore sceglie una rassegnazione fatalistica e utilitaristica, in base alla quale lui stesso da solo può fare poco. Come concilia l’autore il suo vitalismo con questa rassegnazione di fondo?
La vita del pastore contiene due aspetti. Il pastore è un imprenditore, quindi sa far di conto, scrivere, governare un’azienda a suo modo complessa. Senza queste qualità un gregge che supera le trecento o cinquecento pecore va alla malora in tre giorni. Nello stesso tempo sa che la guerra contro la meteorologia, contro le malattie del bestiame, contro le avversità degli agricoltori di pianura che a fine Ottocento non tollerano più la presenza dei pastori erranti, contro le macchine che invadono le strade e infastidiscono il gregge, è una guerra perduta in partenza. Come la Grande Guerra. Che alcuni, ancor oggi, ci dicono che abbiamo vinto…
Giancarlo Maculotti – Originario di Pezzo, frazione di Ponte di Legno, è stato insegnante elementare, Direttore didattico e Scolastico, progettando nel 1970 una scuola alla don Milani in Alta Valle Camonica e dirigendo la scuola italiana di La Louvière e di Charleroi in Belgio (1996-99). Ha tenuto lezioni e corsi presso istituti scolastici, l’Università di Edolo e l’Università Cattolica di Brescia. È autore di articoli, saggi sui problemi della montagna e la storia della siderurgia camuna e 13 libri. Dal 2004 al 2009 Assessore alla Cultura e all’Istruzione della Comunità Montana di Valle Camonica, dal 2009 al 2014 sindaco di Cerveno (Bs), è oggi coordinatore degli Incontri Tra/montani.