Generazione Pinocchio

Sabato 4 ottobre, al Festival delle Generazioni di Firenze, leggeremo e commenteremo un brano delle Avventure di Pinocchio di Carlo Collodi con il pubblico della sezione “Il Futuro è già ieri”, a cura di Marco Stancati. Partecipa al gioco live su Twitter dalle 10:30 alle 12:30 con l’hashtag #FFdG14.

#TwPinocchio

Durante il gioco metteremo a confronto il testo di Collodi con una riscrittura contemporanea, ovvero lo sceneggiato di Luigi Comencini del 1972. Una delle riflessioni che condurremo nei prossimi mesi leggendo e commentando Pinocchio, infatti, riguarderà proprio le numerosissime riscrittture (testuali, televisive e cinematografiche) a cui nel tempo è stato stoto sottoposto il testo.

Dal 10 novembre gli utenti di Twitter e gli studenti delle scuole elementari, medie e superiori potranno partecipare a #TwPinocchio, la lettura e riscrittura delle Avventure di Pinocchio con la comunità di TwLetteratura. Ad accompagnare la lettura del testo di Collodi saranno i personaggi del libro, animati dai membri della comunità.

Per partecipare al gioco su Twitter in diretta con il pubblico del Festival delle Generazioni commenta questo brano sabato 4 ottobre dalle 10:30 alle 12:30 utilizzando l’hashtag #FFdG14.

Carlo Collodi, Avventure di Pinocchio, capitolo III

La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva fumo davvero. Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino.

‒ Che nome gli metterò? ‒ disse fra sé e sé. ‒ Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina.

Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominciò a lavorare a buono, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi. Fatti gli occhi, figuratevi la sua maraviglia quando si accòrse che gli occhi si movevano e che lo guardavano fisso fisso. Geppetto, vedendosi guardare da quei due occhi di legno, se n’ebbe quasi per male, e disse con accento risentito:

‒ Occhiacci di legno, perché mi guardate? ‒

Nessuno rispose. Allora, dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto, cominciò a crescere: e cresci, cresci, cresci, diventò in pochi minuti un nasone che non finiva mai. Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma più lo ritagliava e lo scorciva, e più quel naso impertinente diventava lungo. Dopo il naso gli fece la bocca. La bocca non era ancora finita di fare, che cominciò subito a ridere e a canzonarlo.

‒ Smetti di ridere! ‒ disse Geppetto impermalito; ma fu come dire al muro.
‒ Smetti di ridere, ti ripeto! ‒ urlò con voce minacciosa.

Allora la bocca smesse di ridere, ma cacciò fuori tutta la lingua. Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non avvedersene, e continuò a lavorare. Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani. Appena finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino.

‒ Pinocchio!… rendimi subito la mia parrucca! ‒

E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la messe in capo per sé, rimanendovi sotto mezzo affogato. A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece tristo e melanconico, come non era stato mai in vita sua: e voltandosi verso Pinocchio, gli disse:

‒ Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! ‒

E si rasciugò una lacrima. Restavano sempre da fare le gambe e i piedi. Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso.

‒ Me lo merito! ‒ disse allora fra sé. ‒ Dovevo pensarci prima! Oramai è tardi! ‒