Nel corso della riscrittura di #TwPinocchio, Elisabetta Casagli approfondisce tematiche e caratteristiche dei personaggi dell’opera di Carlo Collodi.

Ci sono Libri che si potrebbero definire frattalici: ossia, la loro costruzione è così perfetta che, ogni loro elemento, ciascun personaggio, perfino una descrizione, un aggettivo, ne ripetono la forma coerentemente. Di solito si tratta di poemi, o scritti sacri, opere che hanno un respiro universale, come la Divina Commedia, che in ogni particolare aspetto ripetono il disegno del tutto in maniera talmente precisa, da poter essere analizzati anche matematicamente, trovandovi corrispondenze numeriche, simboliche, lessicali… Ora, però, fra questi Libri, dovete contarci anche Pinocchio. Stabiliamo i punti geometrici e i valori numerici sui quali è costruito il frattale di Pinocchio. Prima di tutto, Pinocchio, degno della drammaturgia classica greca, è la messa in scena, secondo una semplicità assimilabile alla mentalità di un bambino, del bene e del male; della strada che può condurre al bene (fatta di insegnamenti tradizionali, patrimonio custodito e trasmesso dagli educatori; e di quella che può portare al male (rappresentata dalla solitudine e assenza di educatori e quindi dal solo insegnamento del godere dei vantaggi del momento).

Il suo autore, utilizzando il punto di vista della semplicità, non divide o contrappone queste due strade: seguendo una logica esperienziale cioè, di vita vera e vissuta, le fa intersecare, unire, divergere, e infine nelle conseguenze, tragiche e miracolose, separarsi per sempre. Inoltre, come ha fatto notare lo scrittore Tiziano Scarpa in una sua intervista a Rai letteratura, la lingua che Collodi utilizza ha la logica infantile di rendere in maniera visionaria la letterarietà del linguaggio. Pinocchio quindi è la rappresentazione dell’espressione “avere la testa di legno” mentre invece il serpente, che muore ridendo, richiama l’espressione “morire dal ridere”. Fino a qui si può osservare che tutto nel Libro è a misura di bambino, logica e linguaggio, tanto che personalmente, detto per inciso, ho potuto sviluppare un corso di scrittura creativa su questo testo, per bambini dai 6 fino ai 15 anni, giocando alla riscrittura attraverso le immagini e le esperienze sensoriali: ottenendo il risultato che tutto viene fuori naturale e spontaneo. Aggiungiamo un ultimo parametro, anche questo a servizio dei bambini: con la messa in scena dei suoi personaggi, Collodi vuole dimostrare come nella cultura orale popolare -rammentata di continuo, come avveniva nella vita di quel secolo, in cui gli anziani suggellavano ogni atto con un detto- ci siano le radici di una sapienza vera, di una saggezza depositata ed esercitata con consapevolezza dalla Fatina Azzurra, che ne diventa anche il simbolo visivo e vivente, come dimostra il suo colore azzurro. Azzurro è tutto ciò che non è umano; nella tradizione orientale per esempio Krishna è rappresentato di colore azzurro, il colore alchimista della Sapienza è l’azzurro e da qui la comunicazione infantile che tutto ciò che è magico come il principe, le fate e perché no anche i puffi, è di colore azzurro. Questo conferisce al romanzo di Collodi un carattere di produzione popolare, cioè non si ha a che fare con un singolo romanzo scritto da uno specifico autore, che infatti cambia il suo nome in quello della Comunità in cui vive, ma con una scrittura popolare nel senso della primitiva poesia, che ha cioè, la stessa funzione che avevano i canti, i testi religiosi, le saghe, i poemi arcaici: quella di tramandare e conservare una conoscenza che i indirizzi per la giusta strada.

Così la semplicità della rappresentazione del bene e del male non è sviluppata qui, in senso pesantemente moralistico e pregiudizievolmente pedagogico, ma si tratta di una osservazione dell’umanità che anche se ignorante conserva in se’ una saggezza, eco della protezione e dell’influenza di una Saggezza superiore, secondo me meno pesante e fatalista della Provvidenza Manzoniana. E così, se proviamo a isolare personaggi, episodi, o argomenti di Pinocchio, vediamo ripetersi questo stesso ritmo, in ogni piccolo particolare, in maniera frattalica appunto, o omotetica, troviamo infatti: l’antitesi continua, anche rappresentata dallo stesso e unico personaggio, del bene e del male (uno per tutti Lucignolo, ma perfino lo stesso Geppetto, anche se di lui più che di vizi si può parlare di difetti, così saggio e buono e al contempo bizzosissimo da montare su tutte le furie se lo chiamano Polendina), antitesi che l’autore mostra come componente principale della vita. Successivamente, la rappresentazione dell’aspetto visionario della lingua italiana (chi va con lo zoppo impara a zoppicare per la volpe, per esempio; al cieco non si mostra la strada, per il gatto; chi non studia diventa un somaro) ed infine protagonisti che, attraverso lo svolgimento del loro ruolo, o direttamente tramite il messaggio che esprimono anche se pur in una fuggevole apparizione, diventano portatori o eco di una saggezza tradizionale (Gatto e la Volpe, Melampo, ciuchini, Lumachina, Tonno ecc).
E voi direte: “Mostraci quello che dici!”
Bene proviamo a supportare la nostra osservazione da dilettanti della critica con esempi e dunque guardiamo la tipologia dei personaggi delle Avventure del burattino: animali, bambini, adulti o animali con funzione di adulti.
L’insieme degli animali in Pinocchio
Grande voce hanno gli animali in Pinocchio, saggi e stupidi, onesti e ladri, amici e nemici, nessuno è inutile o solo di passaggio, o semplice collegamento tecnico letterario, ma tutti dicono e fanno: bene o male; ovvero bene e male; e la loro fine è tragica o miracolosa, ma sempre esemplificativa, cioè sono portatori di una saggezza basata sull’esperienza e contemporaneamente, come abbiamo già detto, la figurazione dell’aspetto visionario del linguaggio. Venendo da una cultura scolastica degli anni settanta sono stata felicemente improntata alla visione insiemistica della vita, per cui permettetemi di spiegarmi attraverso questa esemplificazione: se tracciamo un cerchio rosso con su scritto Animali di Pinocchio e proviamo a leggere tutto il libro elencandoli, dovremmo per forza all’interno di questo cerchio, iscrivere perlomeno altri tre sottoinsiemi (che poi si intersecheranno e si coloreranno dell’unione dei due colori dei sottoinsiemi… e chi è avvezzo all’uso delle matite mi segue) e avremo: il primo sottoinsieme formato dagli animali che hanno la funzione di sintetizzare direttamente l’insegnamento con le loro massime dichiarate; il secondo da animali la cui vicenda è lo svolgimento di questo insegnamento sia in bene, sia in male; e infine il terzo da animali che svolgono le funzioni o meglio, rappresentano gli adulti e di solito, sono la figura della negatività più profonda dell’essere grande. Nel primo sottoinsieme, quello degli Animali che sentenziano, chi metteremo?
“Il Grillo!” griderete tutti. Vi ricordate che il Grillo è il primo a esporre la sintesi della sua saggezza all’inizio della esperienza di vita di Pinocchio?

“Io non me ne andrò via di qui se non ti avrò detto una grande verità. Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente…Povero grullarello! Ma non sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo somaro e che tutti si prenderanno gioco di te? E se non ti garba di andare a scuola, perché non impari almeno un mestiere tanto da guadagnare onestamente un pezzo di pane?”
In questo sottoinsieme, per non lasciare da solo il povero Grillo, potremmo metterci anche il Merlo, che cerca in tutti i modi di salvare il Burattino dalla brutta strada presa col Gatto e la Volpe:
“Pinocchio non dar retta ai cattivi compagni: se no, te ne pentirai!”
Ora a ben guardare, questi due personaggi che dichiarano apertamente la strada giusta, eh, fanno una brutta fine! Uno schiacciato da una martellata (ma si sa, che il maestro viene ucciso dalla arroganza del discepolo, è addirittura una massima); l’altro mangiato dal gatto in un solo boccone. Anche dire la verità, ha un costo! Cercate voi gli altri animali da inserire nel sottoinsieme, perché ce ne sono perlomeno altri tre o quattro e, badate bene, vanno inseriti anche quelli che dichiarano massime che tengono conto della visione del male, per esempio, chi dice “per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba” oppure “Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista da tutti e due gli occhi”. Ecco anche gli animali che esprimono massime basate sui principi del male vanno a fare compagnia agli animali che sentenziano, magari in un insieme ancora più piccolo, quello delle sentenze cattive, che a sua volta si interseca con il prossimo.
Infatti, ora si deve tracciare l’altro sottoinsieme, quello degli animali la cui vicenda, che si dipana lungo tutto il Libro, è esemplificativa. Di chi parlo? Intanto di quei due mascalzoni del Gatto e la Volpe che compaiono più volte nel racconto per mostrare come a forza di prendere una cattiva strada da ladruncoli da strapazzo, ci si possa trasformare perfino in assassini. Questi due personaggi sono di una attualità sconcertante, in quanto rappresentazione della mentalità votata al l’interesse personale, al guadagno immediato, alla furbizia del proprio vantaggio, allora esecrabile, oggi mitizzata; la morale o è assoluta o lascia possibilità di sviluppo al male, così sembra voglia dirci il racconto, e arrivare perfino alla sua massima espressione con l’omicidio. Perché, la figura di Lucignolo non è quella di un bambino che si trasforma da umano, in animale, in un percorso al contrario? Cercate, cercate, nel testo e vedrete quanti esempi, frattalicamente alternati in bene e in male: il cane del carabiniere Alidoro, il Tonno, e perfino Melampo col suo esempio negativo, sono, con la loro breve apparizione, l’occasione per far compiere del bene a Pinocchio e far capire che a seminare bene ci si guadagna! Perfino la Lumachina con la sua lentezza rappresenta più che un insegnamento, una virtù vera e propria, e non poteva essere altrimenti essendo a stretto contatto della Fatina Azzurra, essa insegna a Pinocchio la virtù della Pazienza. L’ultimo sottoinsieme è quello degli Animali che rappresentano gli adulti e purtroppo, a parte i servitori della Fatina, quando gli animali svolgono il ruolo di adulti, sono la rappresentazione dell’accezione più negativa dell’aggettivo animalesco. Volete un esempio? Il giudice Gorilla! Oppure i medici incompetenti al capezzale di Pinocchio a esclusione del Grillo che fa da contraltare in questa visione , ripetiamo, che si interseca del bene e del male. Se questo insieme lo facciamo poi, intersecare anche con l’insieme dei personaggi adulti delle Avventure, il sottoinsieme dei negativi si riempie di presenze: basti pensare al viscido guidatore della carrozza che porta i bambini al Paese dei Balocchi (Collodi sembra voler descrivere con lui le caratteristiche di un pedofilo), o Mangiafuoco, spietatamente cattivo oppure buonissimo, un gigante delle passioni senza controllo. Perfino Mastro Ciliegia ha una accezione in parte negativa, perché dona il pezzo di legno, ma per paura, non certo per gesto di generosità.

Gli unici adulti che si salvano, sono la Fatina, dal momento che assume il ruolo di persona adulta e quindi di madre, e Geppetto, pronto a dare la vita per il suo figlio, come un San Giuseppe, silenzioso, saggio nella sua semplicità, santo nella sua onestà, motore della trasmutazione del burattino guidata saggiamente dalla Fata. Ora, però, se ci allontaniamo dalle coordinate geometriche e numeriche e guardiamo la forma del frattale del libro di Pinocchio, che esce fuori, vediamo che il tutto può essere sottoscritto sotto un’unica forma-parola, trasmutazione e colorata da un unico colore, amore. Si tramuta il Grillo: che dopo essere schiacciato dalla martellata tirata dal burattino, compare a Pinocchio come luce nella notte, come a dire che una saggezza imposta se non si trasforma in voce della coscienza non è efficace; poi ricompare come medico che dichiara l’origine del male nella condizione e conduzione morale della vita. Si tramuta la Fata: alla sua prima apparizione, quando Pinocchio sta per essere raggiunto e ucciso dagli assassini, la stessa si presenta come morta, perché fino a quel momento non c’è speranza per Pinocchio (la Virtù o la Saggezza sono quindi come morte). In seguito la Fata si affianca a Pinocchio come sorella, e muore di nuovo perché Pinocchio continua a seguire la strada del male. Pinocchio la ritrova infine adulta, all’Isola della Api industriose, e qui lei si offre di fargli da madre, (che non si accompagnerà mai emotivamente al padre, Geppetto). Da questo momento in poi, la Fata svolgerà il ruolo di educatrice che scompare alla fine dal piano umano, riapparendo un’ultima volta in sogno, al momento della realizzazione del Sogno di Pinocchio di diventare bambino (questo è il nome del progetto commerciale-culturale europeo che sto cercando di realizzare). Perfino i cattivi si tramutano in peggio, stiamo parlando della Volpe e il Gatto che diventano gli assassini, cambiando le loro apparenze. Il Gatto e la Volpe, rivestiti e coperti con sacchi neri diventano i Bobi neri che si muovono nella notte. I Bobi Neri in Toscana, sono stati utilizzati dalla fantasia popolare per spaventare i bambini, quando vigeva un’educazione piuttosto emotiva e cruda. Infine abbiamo la trasmutazione principale, che è il filo conduttore di tutta la storia: quella di Pinocchio da burattino a bambino. Ma vediamo quante trasformazioni ci sono state prima della realizzazione finale: cominciamo dalla “prima fine” della storia, quando Pinocchio è impiccato alla grande quercia. Fino a quel momento, visto che l’autore stava scrivendo la fine del suo racconto, per il burattino era segnata la strada del pagar caro i propri errori, destino poi ereditato da Lucignolo. Collodi, infatti, su preghiera dei lettori, continua la vicenda e fa rivivere Pinocchio, lo resuscita e a questo punto decide di fargli intraprendere il cammino verso la trasmutazione in bambino, ma prima deve fargli vivere tutto il travaglio della presa di coscienza per scegliere consapevolmente di diventare grande. Ecco dunque il secondo passaggio, quello nelle spoglie del ciuchino, (che riecheggia l’Asino d’oro di Apuleio) cui segue il tuffo in mare dopo il quale Pinocchio viene ripescato da uno strano pescatore e, scambiato per un pesce, rischia di essere fritto (tanto per ricordare la esemplificazione immaginifica del linguaggio). Pinocchio, con questa rinascita, diventa più buono o perlomeno sceglie definitivamente di esserlo (ricordiamo l’immagine del pesce in ambito cattolico).

C’è l’ultima prova, l’esperienza del Mostro marino. Pinocchio deve scendere nel ventre del Pescecane, signore del male e riportare in salvo suo padre Geppetto, sottoposto a sua volta a questa esperienza come ennesimo sacrificio, quello più grande, per pagare al posto del figlio il suo riscatto, la sua emancipazione; qui si apre un ventaglio di interpretazioni che spaziano dalla psicanalisi (forze nascoste nel mare dell’inconscio), alla storia delle religioni (il pescecane è simbolo del diavolo), fino alla mitologia (la lotta degli eroi contro mostri giganteschi) e alla letteratura (Moby Dick e rifacendosi al mondo classico non vi viene in mente il viaggio di Enea nell’aldilà per rivedere suo padre Anchise?). Inaspettatamente Pinocchio riesce a portare via suo padre Geppetto dal ventre del Mostro marino e, dimostrando il suo amore di figlio, si conquista la condizione di bambino. L’Amore è descritto in tutte le sue sfumature: filiale, di sacrificio, fraterno, di solidarietà, paternalista, di educatore, di ammaestratore, tranne che nella sua componente sessuale o perlomeno matrimoniale. Da questo punto di vista sembra proprio un romanzo scritto per bambini o meglio per una scolaresca maschile; non a caso l’amore, espresso nella sua forma passionale più forte, è quello dell’amicizia fra Pinocchio e Lucignolo. Lucignolo in fondo ottiene il suo riscatto proprio attraverso quest’amore; anch’egli, infatti, realizza, purtroppo solo in punto di morte, la sua trasmutazione, da cattivo a buono, quando una lacrima scende dagli occhi del burattino, primo accenno di umanizzazione del pezzo di legno. L’ultima trasmutazione è dunque in bambino, ma anche questa lascia una porta aperta alla crescita verso un’altra condizione perché Pinocchio osserva il passato, il burattino privo di vita e il futuro, il bambino allo specchio. C’è una speranza magica in tutto il racconto, fra queste nascite, resurrezioni, si nasconde un accenno continuo alla possibilità di rivedersi nei momenti degli addii, e allora voglio lasciarvi con un altro elemento che caratterizza il frattale di Pinocchio, le parole del Pappagallo: “oggi (ma troppo tardi) mi sono dovuto persuadere che per mettere insieme onestamente pochi soldi bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o coll’ingegno della propria testa”. Forse sta accennando al fatto che anche lui in una vita precedente è stato umano?
Vallo a capire questo magico racconto che se ti addormenti leggendolo rischi che i sogni siano nulla al suo confronto.

Elisabetta Casagli, nata nella provincia di Siena, laureata in Lettere dal 1990 è iscritta alla Scuola Archeosofica. Nel 2014, con Francesco Burroni e Valentina Tinacci nasce una collaborazione nell’ambito dell’organizzazione e dell’insegnamento del centro di formazione, ricerca e produzione artistica di Sienaoff e di conseguenza l’ideazione e la realizzazione di un corso di Scrittura Creativa per bambini chiamto “Riprendiamoci Pinocchio”. Sarà l’origine toscana, sarà per l’impronta ricevuta nell’infanzia dalla lettura e rilettura di Pinocchio, ma ogni cosa della sua vita sembra ricondurla al Burattino e così progetta una start up in cui l’esperienza commerciale e quella culturale si fondano: il nome è, manco a dirlo, “Il sogno di Pinocchio”, e l’intento è -attraverso la commercializzazione in Europa di abbigliamento per bambini e prodotti toscani innovativi che fanno propri principi quali il riciclo – la ecosostenibilità, la salute del corpo e della mente.