Rosa Teruzzi, la #cittàdelledonne

Il testo di Rosa Teruzzi che domenica 25 gennaio leggeremo e riscriveremo in 140 caratteri all’Expo Gate di Milano, per la #cittàdelledonne.

Della scrittrice Rosa Terruzzi, giallista e autrice televisiva, abbiamo scelto di leggere per il laboratorio di #cittàdelledonne a Expo Gate un brano dal suo romanzo Il segreto del giardiniere (Rusconi, 2012). Rosa scrive i suoi romanzi tra Milano, dove vive e lavora, e il lago di Como, dove sta ristrutturando, col marito, un vecchio casello ferroviario. Suoi racconti sono apparsi nelle antologie Crimine. Milano giallo-nera (Stampa Alternativa, 1995) e Cuori di Pietra, Facce di Bronzo e Corpi (Oscar Mondadori, 2007, 2008 e 2009). Le avventure di Irene Milani, giovane cronista di nera con un dono speciale, sono raccontate nei romanzi Nulla per caso (Sperling & Kupfer, 2008, a breve Emma Books), Il segreto del giardiniere e Il prezzo della bellezza (Rusconi, 2012 e 2013). Ad aprile uscirà un suo racconto in un’antologia di giallisti milanesi pubblicata da Piemme.

Il brano scelto ci stimola a volgere lo sguardo su un angolo di Milano abbandonato: una cascina in riva al Naviglio che Viola – amica del cuore della protagonista – vorrebbe ristrutturare. Nel testo, che riproduciamo di seguito, c’è il sogno di una realtà urbana più affabile, più femminile, contrapposta a quella della speculazione immobiliare (i palazzi di vetrocemento di “Pirlesti”).

La vecchia cascina

“Guarda, Irene: proprio qui voglio mettere il camino.”

Viola indica un punto al centro di una parete scrostata. Qualcuno deve averci acceso un fuoco, tempo fa, quando la cascina in riva al Naviglio era occupata da decine di clandestini stranieri. Ce n’è ancora traccia, qua e là, anche se i proprietari – dopo lo sgombero – hanno mandato una squadra di persone a pulirla: un materasso bruciacchiato sotto il portico della stalla, un bambolotto senza la gamba destra, una cavigliera di metallo che brilla, smangiata, ai piedi di un vecchio noce. Ieri Viola ha invitato Irene, Angelo e Fernanda a visitare la casa dei suoi sogni. Risalire all’agenzia che ne è proprietaria non è stato facile, ma ha voluto occuparsene lei, da sola, e ora eccoli qua.

“Più che una cascina, questa è un’autentica casa di corte lombarda – puntualizza il venditore, un tipo biondo con la pancia florida e l’espressione scoraggiata che sembra dire: chi si accollerà mai questo rudere? –. La stalla e il fienile erano in disuso già prima della Guerra. L’aveva rilevata una famiglia di cappellai che ci aveva installato il suo laboratorio…”

Irene si guarda intorno: è difficile immaginare la frenesia di un’attività produttiva dentro queste mura un po’ sghembe, sotto questo tetto che lascia intravedere – a tratti – il cielo grigio di Milano.

“… Poi è rimasta solo una coppia senza figli – sta dicendo il venditore – e gli edifici andavano mano a mano in rovina. Finché non subentrò la Pirlesti…”

“… E come mai non ci hanno costruito dei bei grattacieli?” chiede Angelo, incuriosito.

“Perché è stato messo un vincolo ambientale sui Navigli.”

“Meno male” scappa detto a Irene che per un attimo si è immaginata il profilo di tre o quattro giganti con finestre a specchio minacciare la grazia delicata della chiesa di San Cristoforo.

“Da allora è stata la rovina”, la corregge il venditore, indicando ai quattro amici quello che gli occhi vedono lì attorno: tetti sfondati, scale sconnesse, pavimenti di cemento pieni di buche, terra fangosa tra gli alberi che ancora sopravvivono in cortile, ombreggiando il profilo dei tre piccoli edifici di un tempo: la casa padronale, la stalla e il laboratorio.

Angelo tocca qua e là: “Ci vorranno milioni a ristrutturarla”, conclude pratico.

“Non ne vale la pena” concorda il venditore: “Non per un privato, almeno…”

“Per favore, Fernanda, potresti metterti in quell’angolo?”

Viola si aggira nel cortile, scattando foto a ripetizione.

“Che cosa ci vedi in questo rudere?” le chiede Irene scoraggiata. Lei sorride. Indica la casa principale, quella meglio conservata: “Questa la userò per il bed and breakfast: non ci stanno più di tre camere, ognuna con bagno, al secondo piano. Al primo farò la sala da pranzo e altri due appartamentini.”

Gira attorno allo stabile, Irene e Fernanda la seguono, ciabattando dentro le pozzanghere: “Qui farò un piccolo orto, voglio coltivare io la verdura. Lì ci saranno le piante da frutto e sotto le erbe medicinali.” Scatta una foto a un paio d’alberi inselvatichiti: “Proprio qui.” Poi va verso quello che rimane della stalla, ma indica prima il laboratorio: “Là ci si può abitare, possono venirne fuori anche due appartamenti. Qua, invece, darò lezioni di cucina naturale: le sere d’estate staremo sotto il portico. E il cortile sarà tutto a prato basso, con i giochi dei bambini.”

“E lungo i vialetti metterai siepi di ortensia?” chiede Fernanda: “Gerani a tutte le finestre, rincosperma, edera e passiflora sui muri?”

“Si può fare.” Viola scoppia in una risata: “Ti interessa, Fernanda?”

“Molto – risponde, serissima, lei –. Ma io insegno solo ricette di dolci e come prima alunna voglio questa qua.”

Irene non reagisce neppure alla battuta: si sta guardando intorno e, tra i muri in rovina, le sembra quasi di poterlo toccare, il sogno di Viola. L’essenziale è visibile solo agli occhi del cuore, pensa, ricordando il Piccolo Principe.

“Làder!” così Angelo gela il venditore quando, alla fine del giro, spara la sua cifra a sei zeri. Carica in macchina la Fernanda, saluta le due amiche e se ne va, brontolando contro “gli speculatori imbroglioni”.

“Come pensi di trovare tutto quel denaro?” chiede Irene sottovoce a Viola, che ha ancora gli occhi sognanti. Stanno bevendo un cappuccino bollente al bar della Canottieri: ci voleva dopo tutta quell’umidità.

L’amica fa una smorfia con la bocca, le punta contro l’indice della mano destra: “Allora non eri attenta all’ultima lezione! Io non visualizzo il modo per ottenerla, visualizzo la cascina già mia.”

“E stai lì ad aspettare che ti piova addosso?”

“Agisci e correggi”, le risponde Viola, sibillina.