In trincea

Il calore della trincea, la Grande Guerra. In questa pagina del suo diario Giani Stuparich descrive lo sgomento e la tenerezza di essere ancora vivi. La leggiamo per i cent’anni del 24 maggio.

Giani Suparich

TwLetteratura celebra il 24 maggio rileggendo una delle pagine di Guerra del ’15 di Giani Stuparich (Quodilibet, 2015): pagina di trincea, orrore notturno e insopprimibile voglia di vivere. Si tratta di un passo di grande letteratura, per certi versi anomalo rispetto al tono prevalente nel diario, che è di fatalistica attesa della morte. Non c’è nulla di eroico o di dannunziano nella scrittura di Stuparich. Semmai, una compostezza mitteleuropea, che avvicina lo scrittore triestino a Robert Musil e Thomas Mann. Ecco il testo che leggiamo e commentiamo insieme su Twitter per ricordare il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia. Usiamo l’hashtag #Stuparich, ma seguiamo anche #24maggio, #GrandeGuerra e #WW1.

Il testo

Notte di combattimento. Siamo svegli, in attesa, contro le rocce. Gruppi d’ombre che si profilano come strani fantasmi nel cielo notturno, scendono dall’alto: sono dei feriti, sostenuti per lo più da un compagno. Ogni plotone ha mandato avanti dei piccoli gruppi di collegamento, e ogni gruppo ha le sue vedette in ascolto, pronte ad avvertire, qualora la compagnia di rincalzo che si trova in linea, abbandoni la trincea per passare all’assalto. Abbiamo caricato i fucili e v’abbiamo inastato le baionette. La massa scura della parete luccica ora nel buio per i guizzi delle lame.

Su! Ci chiamano. La salita rocciosa è tutta un brulichio di ombre, la roccia stride sotto i piedi, crepitano e ruzzolano i sassi; sugli altri rumori s’ode l’ansare dei petti. All’altezza d’una guancia e, dall’altra parte, sotto un fianco m’accompagnano oscillando le baionette dei compagni che mi seguono dappresso, urtandomi a ogni piccola fermata; anch’io batto ogni tanto il capo contro la cornetta e lo zaino di Visi. Sotto la cima sostiamo: la compagnia si distende. Davanti a noi, basso, il profilo oscuro del crinale, e, sopra, un cielo lampeggiante, ora smorto e ora illividente nel riflesso dei razzi; forte odore di zolfo nell’aria, che, rinnovata dal vento, pur torna tosto a imbeversi dello stesso odore; da ogni parte tonfi ed esplosioni. Qui siamo esposti; ma ecco avanziamo e, dopo breve cammino, sprofondiamo sino alla cintola in un fosso; è la trincea. La trincea è ancora calda dei corpi che l’hanno abbandonata da poco, per scendere all’assalto; è come un letto, dove altre creature umane, fatte come noi, con lo stesso tremito nella carne, hanno riposato, e che ora, anche se forse per brevi istanti, ci accoglie e ci protegge. Non ho provato mai un sentimento cosiffatto di tenerezza, come da vivo a vivo, per questa povera, nuda terra, sassosa e piena di ferite, che ci dà riposo e protezione.

[Il ritratto fotografico di Stuparich utilizzato a corredo du questo post è conservato presso i Civici Musei di Storia e Arte di Trieste]