Quo vadis Twitter?

Dove sta andando Twitter? Luca Padovano – su Twitter @AsinoMorto – ci guida tra le pieghe di un cambiamento con cui stiamo iniziando a fare i conti.

Luca Padovano - Asino Morto

 
C’era un tempo in cui Twitter… Cosa pensi sia cambiato da quando hai cominciato a muovere la coda per queste lande?

C’è più gente in giro, più vip e twitstar che monopolizzano l’attenzione (senza troppi meriti, peraltro), più politici che dicono nulla e che spingono tutti a parlare del nulla. Insomma c’è più rumore di fondo e soprattutto sta vincendo il modello “broadcast”, quello della TV, sia perché pochi parlano e tutti gli altri ascoltano passivamente o rispondono per adulare o per insultare senza fornire un reale contributo (e i pochi che argomentano, non ricevono risposta); sia perché invece di commentare la realtà, si commenta la realtà che esce da un’altra TV (realtà o fiction, ma in fondo, in TV c’è differenza?) o magari da un giornale, che però sempre più spesso prende le notizie dalla rete, per dire i cortocircuiti…

Insomma Twitter sta diventando sempre più un luogo dove si commentano i commenti del vip che ha commentato un commento di un altro vip, magari nel programma televisivo in onda in quel momento, rendo l’idea? E le battute ormai le ho già sentite tutte, i giochi sono già stati fatti tutti, i troll si sono incrociati tutti.

Detto questo, io su twitter mi diverto ancora, pensa te.
 
La diffusione dei social network favorisce lo sviluppo dello spirito critico o lo ottunde dando l’impressione di liberarlo?

Non credo che un “banale” meccanismo tecnologico di ingaggio e interazione possa aggiungere quello che non c’è.

Come diceva quel tizio, la TV è un mezzo di comunicazione “freddo”, perché hai bisogno di “scaldare” la comunicazione mettendoci del tuo: McLuhan diceva che con la TV lo spettatore diventa lo schermo. Al contrario i social network secondo me sono mezzi di comunicazione “al punto di fusione”, caldissimi, soprattutto un network come twitter in cui le relazioni sono “lasche” e “libere” (c’è il blocco, ovviamente, ma è uno strumento difensivo, “accessorio”, direi). In altre parole,”al punto di fusione” sei il comunicato, non il comunicante. In altra parole, chiunque appare agli altri in modo molto simile a come è realmente, nel profondo, intendo.

Stiamo parlando e lo stiamo facendo a un numero di persone più elevato di quello cui eravamo abituati nelle nostre solite “cerchie” (bar, lavoro, famiglia e così via), in una configurazione disintermediata di noi stessi che non trova nella presenza fisica, nello status social, nella provenienza, nel sesso, nella etnia, nessun limite e nessun vincolo. E con tanta più crudele e scarnificante chiarezza, quanto più la proiezione di sé si diffonde in rete.

Quindi, non c’è “sviluppo” dello spirito critico, semmai occasione per esercitarlo, se c’è; per metterlo alla prova, se si vuole.

E non c’è alcun ottundimento, semmai opportunità di mostrare agli altri quanto ottuso sei in realtà, anche se forse questa ottusità normalmente non appare perché sta dietro alle convenzioni sociali, all’aspetto fisico o al titolo accademico.

Insomma, al punto di fusione c’è opportunità di “disvelamento” e quindi miglioramento, è l’aspetto che preferisco della rete. E, devo dire, questa opportunità non la stiamo cogliendo, abbiamo preferito le ghiande alle ali come direbbe Guccini. E se adattiamo l’uso di twitter all’uso televisivo broadcasting, è perché lo spazio sociale e concettuale in cui ci muoviamo ormai è quello e ci piace, ormai non vediamo più le sbarre della gabbia. E se twitter è pieno di troll e di flame, è perché ormai siamo tutti un po’ troll, impoveriti, impauriti e incattiviti, non aspettiamo altro che l’occasione per sfogare qualche tensione repressa.

E quindi il punto vero, dovrebbe essere almeno quello di “saper leggere” nelle nostre modalità di utilizzo della rete, le tristi derive della nostra società sempre più disgregata, stanca, triste, incattivita, sazia di consumi e pessimi programmi. E invece si guarda il dito dei comportamenti in rete, senza vedere la luna dei mali che coviamo dentro di noi e che si scatenano talvolta, in rete come altrove.
 
Non è contraddittorio discutere di grandi temi – ad esempio, l’Europa – in cerchie tanto strette come quelle sociali?

Qualcuno e io condivido, diceva che i social network sono strumenti di sintesi e non di analisi. Questa è l’unica contraddizione o, se vuoi, l’unico limite: bisognerebbe stare “fuori per l’analisi” prima che “dentro per la sintesi”, se capisci quello che intendo.

Poi vale quanto detto prima. Io mi metto in comunicazione con te e con tutti gli altri che vogliono partecipare, chi per alzare la palla, chi per tenerla bassa o buttarla fuori campo. E poi si discute, ognuno come può, ognuno come si sente. Gli esseri umani lo hanno sempre fatto, quando avevano l’occasione di stare intorno a un fuoco (se non è “cerchia stretta” questa…).

Semmai il punto è che la rete dovrebbe diventare un punto di partenza, per poi sviluppare discussioni e relazioni anche fuori, non un punto di arrivo, dove tutto muore in un tweet, più o meno brillante.

Semmai il punto è riuscire a passare dall’ampiezza alla profondità.

Semmai il punto è sui registri linguistici: che linguaggio si usa per parlare di Europa, tenendo presente che pochi istanti prima magari hai fatto una battuta sul Jobs Act e subito dopo posti la foto di un gattino? Viviamo in tempi complicati e non ho risposte a riguardo.

Ultima nota: se, per seguire il tuo ragionamento, mi trovassi a discutere di Europa con un accademico o con un parlamentare europeo, sarebbe molto saggio ascoltare per imparare, piuttosto che parlare per dire sciocchezze. Ecco, mi riallaccio a quanto detto prima. Sei tu a capire in quella situazione se tu sia così sciocco da peccare di presunzione o così saggio da eccellere nella virtù dell’ascolto.

Dio benedica la rete se ti da la possibilità di trovarti facilmente in una situazione simile e permetterti di scoprirlo, di “disvelarlo”, appunto.
 
Gli utenti di Twitter sono abituati a vederti assumere posizioni dissonanti, con dolcezza argomentativa. Ma come ci riesci?

A parte che la vita è troppo breve per litigare in rete, sto su twitter perché sono curioso, mi piace scrivere e mi piace pensare di poter dare qualche contributo positivo, adulto, alla discussione pubblica. Ovvio, a nessuno interessa il mio parere, ma se il mio contributo può essere quello di stimolare una discussione o sollevare qualche contraddizione, io sono soddisfatto e mi diverto.

Tutto questo non si fa con toni aggressivi, mettendo l’interlocutore sulla difensiva. Bisogna essere concavi, non prendersi troppo sul serio e, qualche volta, anche saper perdere e incassare.

Tra l’altro, la presenza disintermediata di cui si parlava, dovrebbe facilitare questa attitudine. Il fatto che non sia così è un elemento che andrebbe approfondito e semmai bisognerebbe chiedersi come mai tanti presunti adulti, famosi, con posizioni anche delicate, in rete si comportano come bambini che si divertono a strappare le ali alle farfalle.

Ma, dicevamo, in rete siamo noi, nel profondo, intendo. Giusto?
 
Foto: Aurelien Guichard, Donkeys (Flickr, Creative Commons).
 
Luca PadovanoLuca Padovano (@AsinoMorto) – Luca Padovano nasce nella prima metà della seconda metà del secolo scorso. Ingegnere, si occupa di sistemi informativi, il che è sempre meglio di lavorare. Viene spesso accusato di essere poco concreto e insopportabilmente velleitario, cosa di cui va molto orgoglioso. Non ha talenti particolari, per questo preferisce circondarsi di persone migliori di lui. Gli piace scrivere ma è pigro, per questo usa Twitter. Ha tre figlie che adora e due cani da cui impara molto. Ama sua moglie, ancora adesso, dopo tanti anni. E in fondo, se si vuole capire qualcosa di lui, non c’è sintesi migliore.

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