Diciamo #NoPenaDiMorte

Giovedì 26 novembre, a Siena, leggeremo e commenteremo con l’hashtag #NoPenaDiMorte il testo della riforma leopoldina che nel 1786 abolì la pena capitale nel Granducato di Toscana. Protagonisti, gli studenti degli Istituti Caselli e Marconi e del liceo Monna Agnese.

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Novembre, 1786. Il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo decreta l’abolizione della pena di morte. È la prima volta al mondo che ciò accade, grazie a un sovrano illuminato che accoglie nel codice penale il principio affermato poco più di venti anni prima da Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene (1764). Questa riforma sopravviverà per pochissimi anni, ma costituirà un precedente importante per la Toscana e per l’Italia stessa.

La pena di morte, poi abolita dal Regno d’Italia nel 1889, fu reintrodotta dal Codice Rocco sotto il regime fascista nel 1930. La Costituzione della Repubblica Italiana, promulgata nel 1948, abrogò la pena di morte per tutti i reati commessi in tempo di pace. La legge costituzionale del 2 ottobre 2007 sancì infine la sua definitiva abolizione anche per i crimini di guerra; nello stesso anno, l’Italia svolse un ruolo importante per l’adozione della risoluzione 62/149 delle Nazioni Unite per una moratoria della pena capitale.

La Festa della Regione Toscana
La Festa della Regione Toscana, istituita dal Consiglio Regionale il 21 giugno 2001, celebra ogni anno il 30 novembre la ricorrenza della riforma leopoldina. La Festa, afferma la legge che la istituisce, “è la solenne occasione per meditare sulle radici di pace e di giustizia del popolo toscano, per coltivare la memoria della sua storia, per attingere alla tradizione di diritti e di civiltà che nella regione Toscana hanno trovato forte radicamento e convinta affermazione, per consegnare alle future generazioni il patrimonio di valori civili e spirituali che rappresentano la sua originale identità”.

Giovedì 26 novembre 2015, a 229 anni di distanza dalla riforma leopoldina, gli studenti degli Istituti Caselli e Marconi e del Liceo Monna Agnese di Siena saranno i protagonisti di una lettura pubblica del testo leopoldino, che si svolgerà durante il Consiglio Comunale della città. Attraverso il metodo TwLetteratura, già utilizzato quest’anno dagli stessi studenti per la lettura delle novelle di Federigo Tozzi, gli studenti leggeranno e commenteranno su carta e su Twitter il testo della riforma, confrontandosi con le istituzioni e i cittadini di Siena.

Il gioco, dal vivo e su Twitter
Da giovedì 26 a lunedì 30 novembre TwLetteratura invita tutta la comunità degli utenti di Twitter a leggere e commentare in 140 caratteri il brano della riforma leopoldina. Partecipare è semplice: l’unica cosa che devi fare è leggere il testo riportato qui sotto e pubblicarne un riassunto, un commento o un pensiero ad esso legato su Twitter con l’hashtag #NoPenaDiMorte. I tweet possono essere in italiano, in inglese, o in qualsiasi lingua preferisci: per le traduzioni, puoi avvalerti della collaborazione della comunità di Translat’Me.

Il gioco, che a Siena si svolgerà con un workshop di twitteratura su carta durante la seduta del Consiglio Comunale del 26 novembre, continuerà su Twitter sino a lunedì 30 novembre, data ufficiale della Festa della Toscana. Partecipa, discuti e condividi i tuoi pensieri a partire dal testo leopoldino e confrontandolo con altri testi e contenuti multimediali che questo tema evoca in te e nelle persone con cui quotidianamente ti confronti. Diciamo insieme #NoPenaDiMorte.

Dal codice penale del Granduca di Toscana del 1786
(Riforma criminale toscana o leopoldina)

Fino al nostro avvenimento al trono di Toscana riguardammo come uno dei nostri principali doveri l’esame e riforma della legislazione criminale, ed avendola ben presto riconosciuta troppo severa, e derivata da massime stabilite nei tempi meno felici dell’Impero Romano, o nelle turbolenze dell’anarchia dei bassi tempi, e specialmente non adatta al dolce e mansueto carattere della nazione, procurammo provvisionalmente temperarne il rigore con istruzioni ed ordini ai nostri tribunali, e con particolari editti con i quali vennero abolite le pene di morte, la tortura, e le pene immoderate e non proporzionate alle trasgressioni ed alle contravvenzioni alle leggi fiscali finché non ci fossimo posti in grado, mediante un serio e maturo esame, e col soccorso dell’esperimento di tali nuove disposizioni di riformare intieramente la detta legislazione. Con la più grande soddisfazione del nostro paterno cuore abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene, congiunta con la più esatta vigilanza per prevenire le ree azioni, e mediante la celere spedizione dei processi, e la prontezza e sicurezza della pena dei veri delinquenti, invece di accrescere il numero dei delitti ha considerevolmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi siamo venuti nella determinazione di non più lungamente differire la riforma della legislazione criminale con la quale, abolita per massima costante la pena di morte, come non necessaria per il fine propostosi dalla società nella punizione dei rei, eliminato affatto l’uso della tortura, la confiscazione dei beni dei delinquenti come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità nel delitto, e sbandita dalla legislazione la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti di lesa maestà, con raffinamento di crudeltà inventate in tempi perversi, e fissando le pene proporzionate ai delitti, ma inevitabili nei rispettivi casi, ci siamo determinati a ordinare con la pienezza della nostra suprema autorità quanto appresso […]

XXIX. Incarichiamo i giudici e gli attuarii criminali ad usare tutta l’attenzione e premura per la sollecita ultimazione dei processi, e massimamente dei carcerati, preferendo la spedizione dei medesimi a qualunque altro affare che avessero avanti di loro, con l’avvertenza sempre presente, oltre quella di esaminare subito il re venuto che sia nelle forze, che la carcere la quale soffrono i rei mentre pende il processo, non è che per semplice loro custodia onde esige che ne venga ad essi alleggerito l’incomodo, non solo con la minor durata possibile, ma ancora per ogni altro mezzo compatibile con lo stato di rei, nel quale si trovano […].

XXXIII. Conferiamo colla nostra sovrana autorità e con speciale determinazione l’abolizione della tortura […].

L. In tutte le cause criminali dovrà deputarsi un difensore all’imputato povero o miserabile in quei luoghi dove non sia stabilmente destinato l’avvocato dei poveri rei, e quando lo stesso imputato manchi del suo particolar difensore; ed al detto difensore si dovrà comunicare la copia degli atti, e darglisi comodo di conferire col medesimo imputato ancorché sia carcerato, onde possa rilevare i lumi per la di lui difesa […].

LI. Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata legislazione era decretata la pena di morte per delitti ancor non gravi, ed avendo considerato che l’oggetto della pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno, la correzione del reo, figlio anche esso della società e dello Stato, della cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza, nei rei dei più gravi ed atroci delitti, che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il pubblico esempio che il governo nella punizione dei delitti, e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci col minor male possibile al reo, che tale efficacia, e moderazione insieme si ottiene più che con la pena di morte, con la pena dei lavori pubblici, i quali servono di un esempio continuato, e non di un momentaneo terrore che spesso degenera in compassione, e tolgono la possibilità di commettere nuovi delitti, e con la possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto; avendo altresì considerato che una ben diversa legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza, e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo toscano, siamo venuti nella determinazione di abolire come abbiamo abolito con la presente legge per sempre la pena di morte contro qualunque reo, sia presente, sia contumace, ed ancorché confesso e convinto di qualsivoglia delitto dichiarato capitale dalle leggi fin qui promulgate, le quali tutte vogliamo in questa parte cessate ed abolite […].