Twitter e didattica: utilizzare il social network come strumento didattico è utile. Lo dimostrano Ryan Becker e Penny Bishop dell’Università del Vermont: Ryan ha proposto ai suoi studenti di studiare la scienza twittando. E i risultati sono stati ottimi.
Negli ultimi anni, molti studiosi statunitensi si sono focalizzati sull’apporto di Twitter alla didattica: questo approccio, che forse in Europa può apparire meno scontato in ambito accademico, nasce dalla constatazione che gli studenti vivono ormai immersi in un ambiente pervaso di tecnologia e digitale. Per quale motivo, si chiedono perciò, vietare i social a scuola? Meglio sfruttarne la popolarità come uno strumento che invoglia allo studio. Lo ha fatto anche Ryan Becker con le sue classi di scuola media, aiutato dalla professoressa Penny Bishop dell’Università del Vermont: con il loro studio “Think bigger about science: Using Twitter for learning in the middle grades”, apparso sul Middle School Journal, hanno dimostrato 4 assunti. Ovvero, che Twitter è un ottimo strumento con cui gli studenti possono personalizzare il loro curriculum; che, se usato nella didattica, è possibile valutarne l’efficacia a livello formativo; che fornisce una “audience” reale agli studenti, fatta di esperti e non; e che permette di individuare nuovi modi per comunicare la scienza.
In questa intervista, ci spiegano come hanno lavorato e cosa hanno scoperto.
Durante questo esperimento avete proposto agli studenti delle classi del prof. Becker di usare Twitter durante le ore di scienza: gli studenti lo hanno usato per “fare i compiti”, ma anche per creare un proprio profilo personalizzato come studenti seguendo utenti diversi, tra cui anche la NASA. In sostanza, Twitter è stato lo strumento utilizzato per una didattica diversa?
Ryan Becker: Assolutamente sì, uno strumento a mio parere utile per la possibilità di essere aperto a una gamma infinita di potenzialità. Ci tengo a ribadire che si è trattato di uno strumento che gli studenti dovevano “maneggiare”, comprendendone il funzionamento, e non di un semplice sostituto della più tradizionale lavagna presente in classe. Twitter è quindi stato uno strumento speciale, capace di potenzialità di cui gli altri strumenti non dispongono. L’ho utilizzato proprio per questo, per la possibilità di estendere l’insegnamento al di fuori dell’ora in classe con il professore, tramite – per esempio – il coinvolgimento dato agli studenti dalla possibilità di avere l’accesso a persone sparse intorno al mondo come, nel nostro caso, scienziati e enti spaziali. Questo è stato, infatti, il motivo principale dell’utilizzo di Twitter. Insomma, twittare a scuola è molto più coinvolgente e attivo che leggere passivamente un libro.
Penny Bishop: Inoltre, ci tengo a sottolineare un’altra potenzialità di Twitter, quella di poter personalizzare il curriculum di ogni studente. Questo non significa stravolgere l’insegnamento, né togliere all’insegnante uno standard da seguire, ma dare la possibilità a ogni studente di incentivare i propri interessi tramite lo scambio con altre persone, studenti come lui ma anche persone dotate di anni di esperienza nei campi più svariati.
Utilizzare le nuove tecnologie in classe non è giudicato allo stesso modo da tutti gli insegnanti. In Italia, per esempio, c’è un fronte favorevole all’utilizzo e uno decisamente contrario. Da questo punto di vista, qual è la situazione delle scuole negli Stati Uniti? Come reagiscono gli insegnanti, con maggiore apertura o escludendo l’utilizzo di questi strumenti nelle loro classi?
R.B.: Per quanto riguarda la mia esperienza personale, solitamente con i miei studenti utilizzo l’e-mail per una comunicazione diretta riguardo a qualsiasi questione relativa ai corsi che insegno. Questo mi consente una comunicazione diretta e personale, tra me e l’alunno o la sua famiglia. Invece, ho scelto di utilizzare Twitter perché – al posto di un rapporto uno-a-uno, consente uno scambio uno-a-molti: quando un utente twitta, anche se si rivolge direttamente a qualcuno menzionandolo il suo tweet viene pubblicato sulla timeline di Twitter, e ognuno dei suoi follower lo leggerà e potrà eventualmente commentarlo. Parlando della ricerca relativa all’uso di Twitter nelle mie classi di scienza, innanzitutto abbiamo potuto utilizzare la dotazione tecnologica fornitaci dalla scuola (la scuola media dove il prof. Becker insegna dispone di connessione Internet e ogni studente ha il proprio account e-mail scolastico personale, NdA). Inoltre, Twitter non era obbligatorio: ho infatti spedito una lettera alle famiglie di ogni studente per spiegare gli obiettivi del suo uso in classe, lasciando alle famiglie la libertà di aderire oppure no. A tale riguardo, più del 90% delle famiglie ha dato il permesso, ed è interessante notare come i contrari lo abbiano fatto non tanto per paura degli eventuali rischi a cui gli studenti avrebbero potuto andare incontro, ma perché ritenevano che i loro figli trascorressero già abbastanza tempo a contatto con i social e le tecnologie digitali.
P.B.: Come in Italia, anche negli Stati Uniti è difficile generalizzare. Posso dire però che c’è stata una crescita nell’utilizzo delle nuove tecnologie a scuola. Per esempio, all’Università del Vermont enfatizziamo l’importanza della tecnologia, e infatti più della metà dei nostri programmi di studio prevede un rapporto uno-a-uno tra studente – fornito di un proprio account – e docente. Da un punto di vista dell’applicazione delle tecnologie, inoltre, molte ricerche sono state fatte nelle classi di matematica, dove la sperimentazione delle nuove tecnologie è molto diffusa. Per quanto riguarda, più specificamente, Twitter, questo social non è così ampiamente adottato da docenti e insegnanti per la sua totale apertura: si tratta infatti di un format aperto, e questo provoca l’insorgere di nuove sfide per insegnanti e studenti, come la gestione della privacy oppure le conseguenze di un utilizzo sbagliato di Twitter per fini non didattici. In sostanza, dunque, per Twitter possiamo parlare di uno strumento a due facce: da un lato offre enormi potenzialità, ma dall’altro espone anche a potenziali rischi.
Con la vostra ricerca avete riscontrato che, spesso, gli studenti avevano difficoltà a utilizzare Twitter. Insomma, sembrerebbe che i “nativi digitali” vadano educati all’uso della tecnologia, soprattutto a scuola: è così?
P.B.: In quanto “nativi analogici”, riteniamo spesso che questi ragazzi conoscano già tutto del digitale e del mondo dei social network: questo è vero solo in parte, però. È infatti vero che gli studenti padroneggiano l’abilità di utilizzare i social – per dirlo in inglese, hanno le skills adatte – ma mancano della stessa abilità quando si tratta di contenuti o delle specifiche caratteristiche dei vari social network. La scuola, da questo punto di vista, ha una grande responsabilità.
R.B.: La scuola dovrebbe fare di più. È vero che, negli USA, le scuole parlano di social network e digitale, offrendo per esempio una settimana o due di corsi sulla digital citizenship e l’utilizzo del computer; ma si fa ancora troppo poco riguardo, per esempio, ai rischi connessi all’uso dei social media. Questo è un peccato, considerate per esempio le potenzialità mostrate da Twitter nella classe del prof. Becker, dove gli studenti hanno potuto accedere in tempo reale e in maniera diretta a delle fonti di informazione diversamente poco accessibili (twittando con gli astronauti o gli scienziati, per esempio).
Twitter è stato, per la vostra ricerca, uno strumento pratico. Come invece potrebbe essere studiato da un punto di vista teorico?
R.B.: Nel mio caso si è trattato, come ho detto, di un uso esclusivamente pratico. Twitter è stato uno strumento che, messo in mano agli studenti, ha stimolato la loro creatività facendoli sentire maggiormente coinvolti nel corso che insegnavo.
P.B.: Per quanto riguarda lo studio di Twitter in ambito teorico e accademico, esso è stato impiegato in studi e ricerche più in ambito universitario (per scuole di infermiereìistica o di economia) che nelle scuole medie, come invece ha fatto il prof. Becker. A livello teorico, a mio parere l’idea più interessante e stimolante potrebbe essere integrare lo studio di Twitter nell’ambito delle Scienze sociali. Naturalmente, Twitter è stato studiato anche nell’ambito della Teoria dell’informazione, delle Scienze della comunicazione e degli studi sui media: per esempio, ricordo che l’interessante analisi di come Twitter e altri social vennero usati come fonti di informazione durante l’uragano Katrina. Tuttavia, anche in questi ambiti di studio più aderenti all’idea di Twitter come strumento di comunicazione l’adozione di un punto di vista sociologico potrebbe rivelarsi la più feconda.
Foto: malglam – El Futuro… (Creative Commons).
Ryan Becker (@Physci8) – Addottoratosi nel 2015 in Educational Leadership and Policy Studies all’Università del Vermont, è professore di Scienze presso la Woodstock Union Middle School di Woodstock, nello Stato del Vermont.
Penny Bishop (@pennybishop) – Professoressa di Middle Level Education all’Università del Vermont, dove svolge ricerca sulle metodologie didattiche per ragazzi e adolescenti. Inoltre, è la direttrice del Tarrant Institute for Innovative Education, che ha sede presso la stessa università.
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