Dal rotolo al Web

“Dal rotolo al Web. Come il contenitore cambia il contenuto”: la lezione di Massimo Palermo alla City University New York raccontata da Iuri Moscardi.

Dal rotolo al web

“Dal rotolo al Web: come il contenitore cambia il contenuto”

Massimo Palermo, professore di Linguistica italiano all’Università per Stranieri di Siena, ha scelto questo titolo per il suo incontro del 14 settembre con gli studenti della specializzazione di italiano che studiano nel Dipartimento di Letterature Comparate del Graduate Center della City University New York. Un titolo che, più che provocatorio, è rivelatore di un fatto rilevante ma allo stesso tempo banale: il supporto materiale con cui un testo viene trasmesso influenza la sua produzione e la sua lettura, che allo stesso tempo sono influenzate da fattori di cambiamento esterni al testo. Tra questi ultimi, il più importante è stato il cambiamento di supporto: dalla pergamena del rotolo si è infatti passati alla carta con la stampa a caratteri mobili, mentre ora stiamo sperimentando nuove forme di testualità digitali.

Il prof. Palermo ha iniziato la sua lezione ricordando il fondamentale contesto storico dentro al quale questa trasformazione si sta svolgendo: la storia della scrittura, datata circa 6.000 anni, che ha posto al centro la parola scritta a discapito di quella orale, così come la vista a discapito dell’udito. Una centralità dovuta a diversi formati: dal rotolo si è passati, intorno alla tarda latinità, al codice – il supporto che non a caso maggiormente facilitò la trascrizione dei testi sacri e classici da glossare nei margini del foglio. Dall’evoluzione del codice in libro si sta ora invece passando al digitale, un supporto il cui contenuto è fisicamente e logicamente staccato dal contenitore materiale.

Testo e autore: ruoli che cambiano

Altrettanto importante è stato ricordare il significato di termini che diamo per scontati, ma la cui etimologia è indicativa nel ricordarci il senso della produzione testuale. Testo, per esempio, rimanda alla terminologia tessile: è la tessitura di materiali diversi, amalgamati fino a ottenere un prodotto finale che è la somma di quelli originari ma anche qualcosa di diverso (per questo abbiamo scelto il nome Betwyll: il twill è infatti uno specifico tipo di tessuto). Il testo si afferma sull’oralità imponendo la parola muta scritta sulla parola viva orale, che continuamente si ridefinisce tramite il dialogo: un processo che la comunicazione digitale sta ora trasferendo allo scritto, come dimostra la natura processuale di fenomeni come le web chat o Wikipedia. Autore deriva invece dal verbo latino augere, che significa accrescere e rimanda al ruolo di chi – grazie al testo che crea – si pone su un piano superiore rispetto al lettore. In questo senso, il testo crea l’autore e definisce il canone, formato da tutti i testi fondamentali di una comunità.

Tutto ciò è utile per capire come il digitale stia cambiando tali ruoli. Il digitale è l’ultimo dei cambiamenti di fruizione del testo in ordine di tempo dopo il passaggio da rotolo a codice nel III-IV secolo e quello dovuto alla stampa a caratteri mobili nel XV-XVI secolo. Ognuno di tali passaggi è stato seguito dal rigetto del canone vigente, e in particolare la comunicazione digitale rivoluziona le nozioni di autore e testo per due motivi: è basata su informazioni mediate, cioè non esperite direttamente e dal vivo (un processo iniziato con il telegrafo) e decontestualizza il messaggio nello spazio e nel tempo, portando a una fruizione differita. Il testo digitale si caratterizza per la verticalità che unisce superficie e contenuto. Come l’analisi di un breve segmento di html dimostra, la superficiei è il risultato di decisioni che influiscono sul contenuto più profondo del testo ma allo stesso tempo superficie e contenuto sono separabili e indipendenti. Inoltre, la modalità di lettura cambia con il digitale: si afferma sempre di più una lettura che, come nei motori di ricerca, ci porta subito al cuore dell’informazione, senza più soffermarsi sul contesto. Il testo stesso diventa il contesto della lettura, senza bisogno di fare riferimento a fattori esterni. Dalla lettura intensiva tipica del codice si passa così a una lettura selettiva in cui guardare prevale su leggere. Nell’ambiente digitale il testo scritto è infatti in minoranza, circondato da elementi diversi: invece della linearità tipografica prevale la multilinearità. Ogni modalità di lettura attiva brainframes differenti: quella alfabetica si basa sulla linearità, quella televisiva sulla simultaneità e la brevità (dove le emozioni prevalgono sulla logica) e infine quella cibernetica sulla frammentareità, portando ogni lettore a focalizzarsi solo sul presente a discapito della linearità cronologica.

Digitalità, nostra e dei testi

Con la diffusione del digitale si sono diffuse nuove terminologie, la più famosa delle quali è quella di nativi digitali (dovuta allo scrittore americano Mark Prensky), e nuove dicotomie: ai nativi digitali vengono spesso contrapposti gli immigrati digitali, ovvero coloro che sono nati prima dell’avvento del digitale e hanno imparato a usarlo da adulti (ovvero dopo quello che in linguistica è definito periodo critico e che coincide con la fine della pubertà, quando l’acquisizione di nuovi linguaggi è più difficile). Non sono mancate prese di posizione estreme, da una parte e dall’altra: se nel 2009 si giunse a ipotizzare la nascita di una nuova specie di uomo, l’homo sapiens digitalis, non sono mancati gli allarmi per una demenza digitale che ci avrebbe resi tutti stupidi (come scriveva Nicholas Carr nel 2008). Secondo il professor Palermo, è invece molto più sensato stabilire una classificazione dei testi digitali per definire quelli ri-mediati basandosi sulla nozione del gradiente di digitalità. In base a tale gradiente, i testi nati sulla carta prima del digitale e in seguito importati avrebbero grado 0; quelli scritti con l’ausilio di tecnologie digitali ma non dissimili da uno scritto grado medio; infine, quelli pensati esplicitamente per la Rete e inconcepibili – materialmente e logicamente – senza di essa, con grado alto (post, chat, ma anche giudizi di viaggio su TripAdvisor).

L’incontro con il professor Palermo è stato un ottimo modo per conoscere da vicino le peculiarità della tecnologia digitale in relazione ai testi e alla lettura, ma anche per sottolineare ancora una volta un concetto fondamentale: nessuna innovazione nasce nel vuoto. Per quanto riguarda il digitale, il suo apporto ai testi e alla loro lettura comprende una miriade di fattori, riguardanti tanto il supporto che la scrittura, che fanno riferimento a processi precedenti, che tutti conosciamo. Può essere che in futuro tali rapporti si separeranno e la testualità digitale diverrà qualcosa che ancora non conosciamo: ma per comprenderla appieno non possiamo prescindere da tutto ciò che l’ha preceduta, a partire dal rotolo, passando attraverso il codice e la stampa a caratteri mobili di Gutenberg.

rotoloMassimo Palermo – Nato a Roma nel 1963, si è laureato in Storia della lingua italiana nel 1987 con Luca Serianni. Nel 1992 ha conseguito il Dottorato di ricerca in Linguistica. Dal 1995 lavorato all’Università per stranieri di Siena, dove dal 2006 è professore ordinario di Linguistica italiana. Già Preside della Facoltà di Lingua e cultura italiana e Pro-rettore vicario dell’Università, attualmente dirige il Dipartimento di Ateneo per la Didattica e la Ricerca (DADR). Si è occupato di di vari aspetti della storia della lingua italiana, di romanesco antico e moderno, di descrizione dell’italiano contemporaneo, di didattica e apprendimento dell’italiano L2. Ha coordinato e diretto la realizzazione di corpora testuali, fra cui il CEOD (Corpus Epistolare Ottocentesco Digitale) e l’ADIL2 (Archivio Digitale di Italiano L2). Dirige la Collana “Testi e culture in Europa” dell’editore Pacini di Pisa, fa parte del Comitato scientifico della collana “Primavere letterarie” dell’editore Pacini, è membro del Centro Studi “Giuseppe Gioachino Belli” e Coordinatore nazionale dell’ASLI – Scuola dal settembre 2016.

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